Cultura

La fiaccola che scotta nelle mani dei potenti

Boicottaggio o no? Così la repressione del Tibet divide l’Occidente

di Emanuela Citterio

Parla il cardinal Renato Martino.Uno dei più autorevoli ed esperti diplomatici vaticani affronta il tema più scottante del momento. La soluzione? «Che la Cina ascolti quel che dirà l?Onu»

Per uscire dalla crisi del Tibet una via c?è. E Renato Martino, cardinale, per 16 anni rappresentante del Vaticano all?Onu, la indica con sicurezza. «La Cina è un membro dell?Onu, anzi è un membro del Consiglio di sicurezza, io mi auguro e spero che ascolteranno quello che la comunità internazionale suggerisce». Martino è uno dei diplomatici più esperti in forza al Vaticano.

Oppositore fermo della guerra in Iraq, sempre molto realista nelle sue valutazioni non si concede molti idealismi neppure di fronte a questa nuova crisi. Fare pressioni su Pechino in occasione dei Giochi olimpici? «Questo dipenderà dalle decisioni dei singoli atleti, dei singoli Paesi e governi. Lo sport è uno strumento di dialogo e dovrebbe incoraggiare il dialogo, la pace, l?intesa e gli scambi. È brutto vederlo magari impiegato con altre intenzioni».

Sull?agenda vaticana Martino sa che c?è segnata un?altra data importante e delicata per affrontare il ?nodo tibetano? È quella del 16 aprile, quando il Papa incontrerà Bush negli Stati Uniti. Il tam tam che risuona a Washington suggerisce di aspettare questa data per conoscere la posizione definitiva del presidente Usa circa le Olimpiadi di Pechino e la sua eventuale partecipazione alla cerimonia di inaugurazione. «Non posso fare previsioni su quello che si diranno il Papa e il presidente Bush», spiega a Vita, «ma è evidente che si può immaginare: quando il Papa si incontra con altro capo di Stato, gli argomenti che riguardano la pace mondiale sono al centro dell?attenzione». «Mediare e cercare una soluzione pacifica è quello che la Santa Sede ha fatto nei secoli. Immagino quindi che svolgerà questo ruolo anche in quest?occasione», continua il cardinale. «Giovanni Paolo II aveva cercato di evitare la guerra dell?Iraq, infatti inviò il cardinale Pio Laghi per cercare di convincere il presidente Bush, e il cardinale Roger Etchegaray da Saddam Hussein. Purtroppo non ci fu un successo, come non ci fu nel tentativo di evitare quell?inutile guerra nei Paesi dell?ex Jugoslavia? ma anche lì la Santa Sede fu attiva nel cercare di mediare, pacificare, invitare al dialogo».

Appuntamento a New York

L?unica certezza è che il discorso del Papa alle Nazioni Unite, il 18 aprile a New York, sarà incentrato sui diritti umani, come ha anticipato il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. È difficile quindi pensare – fosse anche durante il colloquio privato che avrà con il presidente Bush due giorni prima – che il Papa non toccherà la questione del Tibet, che a ogni tappa rischia di spegnere la fiamma olimpica.Per quanto riguarda la Cina, la Santa Sede è sì interessata a una normalizzazione con Pechino, ma Benedetto XVI, secondo fonti della Chiesa cattolica di Hong Kong, sarebbe interessato più agli aspetti ecclesiali che a quelli diplomatico-politici. In gioco c?è la libertà dei cattolici cinesi, molti dei quali vivono la propria fede in clandestinità, ma anche quella dei cattolici di Taiwan, che la Santa Sede non può trascurare in nome di un accordo con la Cina. È la cautela infatti a prevalere nelle parole del cardinale quando si parla della libertà religiosa in Cina. «Possiamo dire che i cattolici in Cina adesso stanno meglio di ieri», dice Martino. «Poco a poco hanno la possibilità di affermarsi e professare la propria religione. Certo c?è ancora molto da fare ma speriamo che passo dopo passo ci saranno le garanzie per il rispetto della fede di ciascuno».

Un altro fronte

  • Porpora anti guerra

Il cardinal Martino è alle prese con un?altra emergenza, quella dei cristiani in Iraq. Drastico il suo giudizio: «Se non ci fosse stata la guerra a Saddam, non staremmo a piangere tutti questi morti. Con la guerra si voleva rimediare all?aggressività antioccidentale di quel dittatore ed ecco che si è ottenuta un?aggressività maggiore che travolge i cristiani iracheni, individuati come quinta colonna dell?invasore».


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