Famiglia

Buona pratiche in casa Rom/2

Diamo loro formazione. E nessuno si muove

di Sara De Carli

Per Calin Pop, gli specchi sono identici. Chi viene in Italia per lavorare è uguale a chi in Romania lavora, quelli che vengono per fare altre cose sono quelli che anche là sono refrattari a qualsiasi coinvolgimento formativo e sociale, «quelli con cui, purtroppo, noi non lavoriamo». Il direttore di Fundatia Avsi sospira: la sua suona come una etichetta, ma nel dirlo c?è solo rimpianto. Ingegnere prestato al sociale, da dieci anni lavora con Avsi.

Vita: Si parla di un meno 26% della criminalità rispetto al 2006: è vero?
Calin Pop: La vita qui è sempre più tranquilla e sicura, ma non da gennaio, da prima. Andiamo in giro alle tre di notte per le strade di Bucarest e non succede niente, non si parla più di ladri. I ragazzi delle fogne per cui Bucarest era famosa negli anni 90 non ci sono quasi più. Però ho ritrovato una situazione simile a Parigi e a Roma, nei mesi scorsi, con giovani adulti, forse gli stessi, sul mercato della prostituzione. I romeni che da voi delinquono sono le stesse persone che qui non riusciamo a coinvolgere nelle nostre attività sociali e formative.

Vita: Di chi è la colpa dell?esodo?
Pop: È ovvio che il fenomeno migratorio sia unidirezionale, la Romania è un Paese povero e l?Italia un Paese ricco: la gente se ne va per disperazione economica. Ma c?è anche un nascosto favoreggiamento dello Stato, che è contento della fuoriuscita di chi, rom e non rom, rappresenta un problema sociale.

Vita: Perché anche voi faticate a coinvolgere chi più ne avrebbe bisogno?
Pop: Facciamo interventi in favore delle fasce a rischio della popolazione: rom, famiglie con problemi sociali, famiglie in cui un membro è in prigione, figli rimasti soli dopo il trasferimento all?estero dei genitori… Diamo aiuto materiale, ma soprattutto facciamo formazione professionale: è la miglior prevenzione della migrazione. Nelle aree dove operiamo e tra le persone che abbiamo coinvolto la migrazione è bassissima: significa che questi interventi lasciano il segno, che c?è un?alternativa. La gente va via dalle zone dove non c?è nulla, nessun intervento sociale, solo la disperazione della povertà. E pensi che noi lavoriamo anche in sette comunità rom al confine con Ungheria, la direzione più veloce verso l?Italia. D?altronde qui il 25% delle famiglie vive in stato di povertà e la disoccupazione è tra l?8 e il 18%: nelle campagne molte famiglie vivono solo dei sussidi statali per i figli, e ci sono aree dove il 70% dei giovani è all?estero. E ogni romeno che torna, l?estate, porta tre posti di lavoro già concordati, destinati a parenti e amici.

Vita: Che ne pensa della proposta di don Colmegna di aiutare la gente a trovare lavoro in Romania?
Pop: Può aiutare a ridurre il fenomeno migratorio ma soprattutto a cambiare le cose qua. In città il lavoro lo si trova in una settimana, perché è pieno di aziende straniere che stanno investendo grazie ai finanziamenti europei: l?Unione europea ha promesso un milione e mezzo di posti di lavoro. Questa è una buona cosa, ma la gente se ne va lo stesso perché lo stipendio è basso, all?estero puoi guadagnare molto di più. Chi è già fuori non torna indietro perché ci sono nuovi posti di lavoro: ci vorranno altri 5/6 anni per vedere aumentare i salari anche da noi.

Vita: Quanta Italia si è vista in Romania in questi mesi?
Pop: L?Italia è il primo Paese per investimenti industriali, ci sono 20mila aziende italiane in Romania di cui ben 13mila a Bucarest, ciascuna con 5/15 dipendenti. Dal punto di vista sociale, l?Italia ci ha sostenuto molto prima, destinando molti fondi alla cooperazione con la Romania. Da gennaio però non c?è più nulla, perché non si fa cooperazione internazionale fra Stati europei. Dovrebbero arrivare i fondi strutturali stanziati direttamente dall?Unione europea, 19 miliardi di euro per sei anni, ma in dieci mesi non si è visto niente.

Vita: Cosa cambia per il terzo settore romeno?
Pop: È stato un duro colpo. Il non profit dipendeva per l?80% da finanziamenti occidentali. Le ong oggi patiscono questa mancanza di fondi. Secondo il nuovo assetto, l?assistenza sociale è nelle mani dello Stato, che riceve finanziamenti ad hoc dall?Unione europea: gli enti privati hanno la possibilità di usufruire di fondi solo per la formazione professionale. Il punto è che lo Stato sulla cultura sociale è indietro 15 anni. Questo sarà un pericolo per voi, perché la mancanza di assistenza ai giovani, a chi esce dagli orfanotrofi e dalle carceri, creerà altri problemi. Verranno senza aver mai incrociato una proposta educativa che dia loro un?alternativa.

Vita: Fundatia Avsi come lavora?
Pop: Facciamo formazione professionale grazie a un finanziamento del ministero degli Esteri italiano, vinto l?anno scorso: un progetto su quattro regioni, rivolto a giovani in difficoltà e rom. Poi abbiamo attività per giovani sieropositivi con un finanziamento del Global Fund e altri progetti di formazione professionale finanziati dalla Regione Lombardia prima del 2006. In più facciamo sostegno a distanza con famiglie italiane.

Vita: Un?idea per il futuro?
Pop: Una cosa che non si sta facendo, ma che sarebbe importantissima, è la creazione di partenariati tra le zone italiane più colpite in Italia dalla migrazione romena e le regioni della Romania da cui queste persone provengono. Partenariati che si appoggino agli enti privati rumeni che offrono servizi sociali, che puntino su educazione e formazione professionale, perché se non dai un?alternativa lavorativa la gente se ne va. Questa mappatura geografica si può fare, perché la migrazione è perfettamente organizzata. Al top ci sono Portogallo e Spagna, che garantiscono ai bambini condizioni straordinarie: l?Italia era la meta prediletta nel 2000, resiste perché ormai da voi c?è una presenza romena forte. Comunque la prendiamo, l?Italia ha davanti a sé dei costi. Ma un intervento in Romania costa molto meno che uno in Italia.


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