Famiglia

Testimonianze. Noi, l’un per cento

Intervista a Pierbattista Pizzaballa, custode di Terrasanta

di Emanuela Citterio

Voi giornalisti volete sempre parlare di politica». «Prego?». «Ci sarebbero altre cose da raccontare». Lo scambio arriva quando il registratore è già spento (sarà riacceso subito dopo). L?interlocutore è uno dei referenti più autorevoli di ciò che accade oggi in Israele, nei territori palestinesi ma anche in Medioriente, visto che padre Pierbattista Pizzaballa è a capo della Custodia di Terrasanta, che opera anche in Libano, Siria, Giordania, Egitto, Cipro e Rodi. In questi Paesi i francescani hanno da ottocento anni il compito di ?custodire i luoghi santi?, ma la loro presenza significa anche scuole, dialogo interreligioso, ?stare in mezzo? alla popolazione, come amano dire rifacendosi allo stile di Francesco d?Assisi.
Vita: Oltre alla politica, cosa c?è da raccontare?
Pierbattista Pizzaballa: Per esempio che c?è un ecumenismo di fatto oggi in Terrasanta. Non delle istituzioni ma della vita, della gente che condivide la stessa fede ma appartiene a comunità diverse. E non solo. Ci sono pastori che si incontrano e fanno delle cose insieme, fra cattolici, protestanti e ortodossi. Se cambia il parroco cattolico, come è successo quest?anno in molte comunità, gli altri partecipano alla festa, fanno gli auguri, vengono con le loro comunità, viene anche il rabbino o l?imam, dipende da chi c?è vicino. Sono cose molto positive, bisogna parlare anche di queste, non è che ci sia solo fondamentalismo.
Vita: Anche a Gerusalemme?
Pizzaballa: A Gerusalemme è tutto più difficile.
Vita: Sta dicendo che c?è più dialogo in Terrasanta fra Chiese diverse rispetto a quello che c?è in Europa?
Pizzaballa: In Israele e Palestina non c?è bisogno di fare ecumenismo, perché in ogni famiglia trovi chi è cattolico, ortodosso, siriano. Si mescolano fra loro, si sposano, non si fanno questi problemi, e nemmeno i parroci.
Vita: Nel senso che partecipano gli uni ai riti religiosi degli altri?
Pizzaballa: Sì, e alcuni sono andati molto avanti su questa strada. Poi nascono tantissime iniziative in comune, per esempio a Nazareth i cattolici latini non hanno un loro centro, lo stanno costruendo, e allora vanno a fare le loro attività dagli ortodossi e dagli anglicani. Forse le differenze si fanno a livello istituzionale, fra vescovi, ma a livello di base e di vita vissuta ci sono situazioni positive e incoraggianti. E non solo fra cristiani.
Vita: Anche con i musulmani?
Pizzaballa: A Cana l?imam e il parroco organizzano iniziative comuni. Il venerdì l?imam parla delle attività della parrocchia e il parroco la domenica di quelle della comunità musulmana. Si tratta certamente di iniziative che dipendono molto dalle persone singole e dalle relazioni che sanno costruire. Non stiamo parlando di accordi internazionali di pace, come vede. Ma a questo livello si tratta di fatti determinanti. E sono tanti, ed è qualcosa che sta succedendo di molto positivo.
Vita: Poi però ci sono anche i fatti di Gaza: l?uccisione del cristiano è segno che qualcosa è peggiorato?
Pizzaballa: Sì. Questo è stato un segnale nuovo. Non era mai accaduto un fatto del genere prima. I rapporti fra musulmani e cristiani sono sempre stati abbastanza buoni, corretti. Ci sono tantissime scuole in cui musulmani e cristiani studiano insieme, questa uccisione è un elemento nuovo che avvicina la realtà dei cristiani palestinesi ad altre, più drammatiche, come quella dei cristiani in Iraq.
Vita: A cosa attribuisce questo peggioramento?
Pizzaballa: Tutta la politica occidentale in Medioriente viene letta come ?quello che fanno i cristiani?. All?interno della cultura araba è difficile far capire che le politiche occidentali non devono essere lette con una lente religiosa. Quindi capita che i cristiani vengano percepiti come rappresentanti dell?Occidente.
Vita: La situazione umanitaria a Gaza?
Pizzaballa: È una tragedia. Gaza è un?entità totalmente isolata, mancano i servizi fondamentali. Acqua ed elettricità arrivano a singhiozzo, la situazione quindi è sempre al limite dello stato di emergenza e questo crea una sensazione di tensione e di accerchiamento.
Vita: Un?altra area del Medioriente che sta vivendo un momento di passaggio drammatico è il Libano. Là i cristiani sono spaccati, fra filoisraeliani e filosiriani?
Pizzaballa: Non sono d?accordo. Il cristianesimo non è un partito. Il fatto che i cristiani siano politicamente divisi forse non è così male, almeno non si può dire che sono una fazione schierata con la Siria oppure con Israele, come se i cristiani fossero un?entità politica a sé. I cristiani sono un?entità religiosa. Poi politicamente ciascuno ha la sua opinione. Devono invece mostrare una maggiore unità all?interno del Paese su tutto il resto, questo sì.
Vita: Cosa intende per ?tutto il resto??
Pizzaballa: Nella vita, nello sviluppo del Paese, nelle attività pastorali. Il problema è quando le divisioni politiche rischiano di dividere su tutto il resto.
Vita: Citava la condizione dei cristiani in Iraq come la peggiore in assoluto. Perché?
Pizzaballa: Di recente ho partecipato a un incontro con i rappresentanti della Chiesa caldea. Il caos totale scatena in tutti i gruppi le fazioni e le gelosie creando seri problemi soprattutto per le minoranze, e i cristiani sono fra queste. Basta dire che da quando è scoppiata la guerra in Iraq quasi due terzi dei cristiani se ne sono andati, spostandosi soprattutto in Siria e in Giordania. Quelli rimasti vivono in un clima di costante insicurezza, spesso vengono rapiti a scopo di estorsione, a volte minacciati di morte se non si convertono. È difficile dire se ci sia una persecuzione politica voluta oppure se siano queste fazioni senza controllo a fare quello che vogliono. Spesso si tratta di tutte due le cose insieme.
Vita: In che tipo di iniziative si concretizza il dialogo con l?Islam?
Pizzaballa: Le scuole dove cristiani e musulmani studiano insieme sono determinanti perché creano relazioni interpersonali. Credo che più che il dialogo teorico, sui principii, quello che conta molto sia l?amicizia personale. Esistono anche degli incontri interreligiosi ad alti livelli, ma sono piuttosto ingessati e istituzionali. È invece importante stare sul terreno, fra i parroci, i rabbini e gli imam, è lì che bisogna lavorare.
Vita: Durante il suo ultimo viaggio in Medioriente, Condoleezza Rice ha incontrato i vertici religiosi ebraici, dell?Islam e delle Chiese cristiane, sottolineando il loro possibile ruolo nel processo di pace. Un segno importante?
Pizzaballa: Chi si accosta al Medioriente escludendo a priori l?elemento religioso non ha delle chiavi determinanti per interpretare questo mondo. In Occidente si tende ad escludere questo elemento attribuendolo alla sfera personale. In Oriente invece, e in Medioriente in particolare, questo non è possibile. Meno male che l?hanno capito anche a Washington.
Vita: Le Chiese cristiane che ruolo possono giocare?
Pizzaballa: Contiamo poco, basti dire che siamo l?1 per cento! Però forse questa piccolezza ci rende più liberi, visto che abbiamo meno da rivendicare. Essere meno coinvolti è un vantaggio. Che possibilità abbiamo? Quella di stare in mezzo al conflitto con il nostro stile da cristiani, quello del Vangelo, e quindi vivendo i valori della riconciliazione, del perdono, del dialogo, del non escludere mai nessuno. Nella vita di tutti i giorni, nelle scuole, negli ospedali cerchiamo di portare avanti questo stile.
Vita: In vista della prossima conferenza di Annapolis, negli Stati Uniti, il primo ministro israeliano Olmert si è detto disposto a fare qualche concessione all?autorità palestinese su Gerusalemme Est?
Pizzaballa: Alle dichiarazioni siamo tutti abituati. Poi bisogna vedere concretamente cosa succederà. Il vertice comunque è una grande opportunità. Non credo che sia una svolta, ma un?opportunità sì.


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