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Il copyright: abuso o tutela sociale? - Vita.it

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Il copyright: abuso o tutela sociale?

Quando non ne può fare a meno anche il non profit

di Antonietta Nembri

Le realtà non profit in questi ultimi anni hanno imparato a servirsi di molti strumenti del mondo for profit, come il management, e alcune hanno iniziato a scoprire come anche la proprietà intellettuale, ovvero il ricorso ai brevetti, possa – a determinte condizioni – avere ricadute positive a livello sociale.
Sul tema del copyright a Milano un convegno, organizzato da Agenzia di cittadinanza di Caritas ambrosiana, ha affrontato le opportunità della proprietà intellettuale per il mondo del non profit. Si è cercato innanzitutto di fare chiarezza su che cosa possa essere brevettato e cosa no e quali regole governino il mondo delle tutele e delle patenti. Un esperto del settore, l?avvocato Renato D?Andrea dello studio legale Ddms di Milano, ha ricordato che tutelabili sono le creazioni artistiche, come pure il software, le applicazioni industriali e le invenzioni: per questo si può ricorrere al copyright (tutela dal valore pressoché mondiale).

C?è poi la proprietà industriale (dlgs 30/05) il cui diritto sorge nel momento in cui avviene la brevettazione o registrazione. Per il mondo non profit è difficile pensare a un diritto di proprietà che porta all?esclusiva delle utilità economiche generate da una creazione intellettuale sorta al proprio interno. Anche se l?unico modo per tutelare ciò che si crea, per evitare che altri sfruttino commercialmente la propria creazione resta la registrazione: questo salva dalla ?indebita registrazione? fatta da altri. Occorre cioè, rifacendosi al mondo anglosassone, pensare al termine inglese utilizzato per il concetto di brevetto: patent, che suggerisce come brevettare sia in realtà rendere qualcosa conoscibile, provocando ricadute positive sugli investimenti per la ricerca.

Ciò per cui si chiede il brevetto, cioè, non era conosciuto prima e il conoscerlo diventa un valore in più.
Una delle difficoltà del mondo non profit è la tutela delle informazioni segrete, poiché la cultura del terzo settore è per la divulgazione senza barriere. Esistono tuttavia esempi di brevetti realizzati da realtà non profit, quali per esempio la Fondazione Telethon e l?Irccs – Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Medea, legato all?associazione La Nostra Famiglia di Bosisio Parini (Lecco).

Telethon ha depositato il primo brevetto nel 1998 e vede in questa tutela della proprietà intellettuale un valore aggiunto alle donazioni che permettono di trasferire i risultati verso l?industria con un di più: la garanzia che lo sfruttamento clinico e curativo vada nella direzione voluta dalla fondazione. In pratica con il trasferimento di alcuni brevetti si recuperano fondi da reinvestire nella ricerca. È infatti difficile che le industrie farmaceutiche sviluppino ricerche per malattie rare, mentre la mission di Telethon è proprio quella di trovare cure e terapie ad hoc per queste ultime. Un discorso analogo è quello dell?Irccs Medea che grazie al brevetto ha potuto tutelare l?utilizzo di un protocollo medico particolare, mentre per realizzare un software per ambienti biomedicali è ricorsa a una licenza di free-software che garantisce, anche con l?apporto di variazioni, la redistribuzione. Ma gli esempi possono essere tanti.
La vera paura da superare – ha concluso il convegno – rimane quella di utilizzare strumenti propri del business, ma il contraltare è quello di non avere più dei prototipi che restano polverosi nei magazzini, ma strumenti che possono entrare nel circuito commerciale a vantaggio anche della qualità della vita delle persone per cui vengono creati.


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