Cultura

In Sudan le guerre non finiscono mai

Fallimento in vista per i colloqui di pace

di Emanuela Citterio

Sudan, la pace è sempre più lontana. Malgrado fra pochi giorni si alzi il sipario sui colloqui di pace per il Darfur. A far riesplodere il conflitto più lungo d?Africa, quello durato 22 anni (e costato un milione e mezzo di morti) fra Nord e Sud, è stata, l?11 ottobre scorso, la decisione dell?Splm, il Movimento di liberazione del Sud Sudan, di uscire dal governo di unità nazionale. Dopo la pace di due anni fa, il movimento che governa il Sud Sudan è diventato un partito ufficiale, con ministri all?interno del governo sudanese.

Quell?equilibrio oggi appare ormai perduto. In questi giorni la tensione è altissima. E gli spostamenti fra il Nord e il Sud del Paese sono tornati ad essere difficili, quasi come ai tempi della guerra.
«Il partito di governo ha ostacolato i lavori della commissione frontaliera facendole mancare i finanziamenti e il ritardo rischia di far slittare il censimento della popolazione necessario per le elezioni del 2009 e per il referendum del 2011 (che potrebbe sancire l?indipendenza del Sud Sudan, ndr)», accusa un portavoce dell?Splm, James Ernest Onge Aremo. In una lettera i vertici dell?Splm hanno spiegato che a motivare il ritiro sono stati anche problemi legati ad un potenziale rimpasto di governo e la mancanza di trasparenza nella spartizione dei proventi petroliferi. Il documento cita la zona di Abeyei, che si trova a ridosso del confine fra Nord e Sud Sudan. In base agli accordi di pace, doveva essere amministrata da un consiglio speciale congiunto, che però secondo l?Splm non è mai stato creato.

Secondo un rapporto rilasciato in questi giorni da International Crisis Group, la miccia in grado di innescare di nuovo il conflitto fra Nord e Sud sarebbe proprio Abeyei, la regione ricchissima di petrolio a sud dei monti Nuba. «Il destino dell?accordo di pace del 2005 è strettamente legato a quello di Abeyei», è la tesi del rapporto dell?Icp, che ha calcolato che nel 2007 i proventi petroliferi ricavati solo da quest?area del Sudan saranno di 529 milioni di dollari.
Ma la tesi non convince a pieno un attento osservatore della situazione sudanese come il comboniano Kizito Sesana. «La situazione è molto più complessa. Non c?è solo il Nord che vuole rubare il petrolio al Sud. La verità è che c?è una grossa dose di malgoverno anche al Sud. E la corruzione ha assunto proporzioni enormi anche a causa dei ritardi con cui sono intervenute la comunità internazionale e le ong. In questo clima basta che si inserisca qualcuno con interessi particolari per innescare di nuovo il conflitto».

La rottura fra Nord e Sud minaccia in modo inevitabile l?esito dei colloqui di pace per il Darfur, in programma per il prossimo 27 ottobre a Tripoli. Nelle ultime settimane si è registrata un?escalation di violenza nella regione occidentale del Sudan, teatro dal 2003 di un conflitto che avrebbe provocato, secondo le stime Onu, 200mila morti. E anche qui le interpretazioni schematiche non reggono più. Il 29 settembre a Haskanita, nel Darfur meridionale, un gruppo non ben identificato di miliziani ha attaccato la base dell?Amis, la missione di peacekeeping dell?Unione africana facendo dieci vittime fra i ?caschi verdi?.

L?8 ottobre altri combattimenti hanno riguardato la città di Muhajirya. In entrambi i casi si tratterebbe di scontri fra fazioni ribelli, che non avrebbero coinvolto il governo di Karthoum.
«In Sudan la vera cartina di tornasole è il Darfur», afferma Kizito Sesana. «Nel 2005 il governo e l?Splm hanno firmato gli accordi senza risolvere il nodo principale. E questo dimostra che non c?era una volontà vera di arrivare alla pace».


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