Politica

Le truppe di quei pacifici novizi

Dentro la protesta. Intervento di Mauro Mauri

di Redazione

Nell?ex Birmania i monaci buddisti sono stati i primi a scendere in strada, dapprima silenti, in seguito con toni sempre più vivaci, per protestare contro il sistema dittatoriale intonando pacifici canti d?ispirazione religiosa. Per la comunità buddista è tradizione che i maschi diventino samanera – monaci novizi – e per tre mesi conducano in monastero un?austera vita di meditazione, preghiera e studio dei testi religiosi. L?iniziazione avviene con una cerimonia detta shinbyu durante la quale, in segno di rinuncia ai valori materiali, dopo esser rapati a zero si abbandonano gli abiti civili, sostituiti dal caratteristico manto color porpora. Una volta concluso il periodo di noviziato, chi decide di proseguire con la spartana vita monastica può riceve l?ordinazione religiosa, diventando monaco a tutti gli effetti, con vincoli analoghi a quelli degli esponenti del clero cattolico.

La schiera di monaci che manifesta per le strade è composta prevalentemente da novizi che, terminata l?esperienza in monastero, torneranno alla propria realtà quotidiana, costellata dalle enormi difficoltà conseguenti al vivere piegati da una dittatura militare che spesso, oltre a privare anche delle minime libertà, costringe milioni di persone a vivere in condizioni di miseria inimmaginabile. Ai vertici del Tatmadaw – l?esercito- c?è il generale Than Shwe, dall?orwelliano titolo di N.1. Messa in soffitta la via birmana al socialismo, ad accomunare i vertici militari, oltre alla paranoia di essere aggrediti da inesistenti nemici esterni, è soprattutto un?incredibile avidità di denaro. Dopo le rivolte antigoverno del 1988 culminate in un bagno di sangue, ai media birmani, sottoposti a ferrea censura, all?improvviso e senza alcuna motivazione venne imposto di non usar più il termine socialismo. Tutto però è continuato come prima – i lupi cambiarono il pelo ma non il vizio – e la dittatura socialista si è trasformata in dittatura militare, con ai posti di potere gli stessi cleptocrati corrotti che, impavidi, tuttora continuano ad arraffare a destra e manca.

Nel Paese vige una situazione impossibile: il regime ha piazzato i propri uomini in tutti i gangli vitali della società, ovunque ci sono spie di professione e semplici civili indotti a rivelare presunte trame antigovernative di amici, conoscenti e familiari, rendendo impossibile organizzare qualsiasi forma di protesta. Non è un caso che a fare i primi passi sia stata la sangha, il clero buddista, relativamente più libero di muoversi. Le proteste del 1988 nacquero nelle università, solo in un secondo momento agli studenti si affiancò la sangha: il regime rispose incarcerando i leader della rivolta e screditando pubblicamente i monaci più acuti nel puntare il dito contro il sistema – donne e soldi le puntuali accuse inventate – oppure imponendo di sostituirli con altri, facilmente manovrabili.

Trascorsi quasi due decenni, mentre gli studenti erano impossibilitati a fare qualsiasi passo, all?interno dei monasteri si è ristabilito il logico ordine gerarchico, pertanto ai vertici delle organizzazioni ecclesiastiche vi sono nuovamente monaci e abati attenti alle problematiche sociali. Da loro, seppur di sponda, parte l?imputazione al sistema di essere l?origine delle enormi sofferenze che attanagliano la popolazione. I testi sacri del buddismo sostengono che se la società è nelle mani di persone che agiscono seguendo le indicazioni dell?Illuminato, al popolo si prospetta una vita felice. Superfluo precisare che, al di là delle dichiarazioni di voler tutelare e diffondere i valori buddisti, il regime si muove in direzione opposta: anche da ciò la molla che ha indotto la sangha a scendere nelle strade, seguita dagli studenti e dalla popolazione civile, incluso – particolare non irrilevante – anche i fedeli di tutte le altre minoranze religiose.

Per eludere le imposizioni del regime, i cortei, anziché marciare verso gli uffici ministeriali, si sono sempre indirizzati alle principali pagode dove, giunti a destinazione, sono iniziate le preghiere con le quali si invocava pace e libertà. A Sagain, poco distante da Mandalay, seconda città birmana, c?è stata una delle prime manifestazioni: al locale reggente militare che intimava lo scioglimento del corteo i monaci replicarono sostenendo che un militare non è tenuto a interferire nelle questioni religiose, dopodiché continuarono a marciare a piedi nudi verso le Pagode Dorate inneggiando al Metta Sutta, i cantici del Buddha con cui si invita a trattare il prossimo con amore universale, rispetto, comprensione e gentilezza: tutte parole e concetti sconosciuti agli uomini del regime.


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