Welfare
SJ. Appalti riservati, occasione o flop?
I nodi della direttiva sui contratti
di Luca Zanfei
Hai tratti del paradosso la vicenda dell?articolo 52 sugli appalti riservati. Inserito in tutta fretta nel nuovo Codice dei contratti pubblici, avrebbe dovuto semplificare e liberalizzare il mercato dei servizi, fornendo uno strumento formidabile per lo sviluppo della cooperazione di inserimento lavorativo.
A distanza solo due Regioni e la Provincia di Torino hanno recepito la normativa nazionale. Un quadro non certo esaltante che ha convinto la neonata Autorità di vigilanza sui contratti pubblici a redigere una relazione da approvare in Consiglio e probabilmente recapitare a fine mese al Parlamento. Ci si dovrà aspettare un semplice passo indietro del legislatore o sanzioni ?
Di certo le interpretazioni della Regione Veneto e della Provincia di Torino hanno rappresentato una sostanziale bocciatura della norma. Niente laboratori protetti e inserimenti di disabili, ma un mercato aperto a progetti di inclusione lavorativa per soggetti svantaggiati. Insomma, un?applicazione non proprio letterale e forse volutamente indirizzata verso una futura riforma dello stesso articolo 4 della legge 381.
Questione di termini
Per adesso di concreto c?è solo una grande confusione terminologica. L?introduzione di voci come ?laboratorio protetto? e ?programmi di lavoro protetti?, inesistenti nel contesto italiano, «dipendono dal fatto che la norma è scritta in ?europeese?, cioè in una lingua fittizia, solo apparentemente italiana, derivante da una pedestre traduzione letterale», spiega il professor Franco Dalla Mura, docente di Diritto amministrativo dell?università di Verona. «Chi ha scritto l?articolo 52 del Codice degli appalti non ha capito che ogni lingua usa espressioni strettamente legate alla peculiare cultura di quel Paese ».
Il resto poi l?hanno fatto gli stessi enti locali, che nella pratica hanno ignorato totalmente la possibilità di approfittare della confusione interpretativa per regolare un mercato interno troppo spesso viziato da procedure non certo cristalline. Si vedano i casi di rinnovi sopra soglia dei servizi e di affidamenti diretti ai limiti del regolamento.
«Il grande valore dell?articolo 52 sta proprio nel superare il corto circuito delle convenzioni con lo sbarramento della soglia, che non permettevano una progettualità nell?inserimento e innescavano procedure non proprio regolari», Maurizio Marotta, presidente del Coin. «Adesso si dà la possibilità anche alle cooperative più piccole di investire in percorsi di inserimento improntati sulla stabilità occupazionale e sulla completa inclusione sociale. Ma le Regioni devono fare un passo avanti e puntare sul lavoro, non sul semplice servizio; mirare sul riconoscimento della cooperazione di tipo b come soggetto caratteristico in un campo così delicato».
Ma l?applicazione del tutto personale dei pochi enti locali sembrerebbe riaprire adesso quel dibattito già avviato da tempo sul ripensamento del concetto di svantaggio e sulla necessità di implementare le leggi sull?impresa e la cooperazione sociale. «Sono anni che la cooperazione sociale inserisce oltre il 50% di soggetti svantaggiati nell?ottica allargata della legislazione europea», spiega il presidente di Federsolidarietà Lombardia, Alessandro Giussani. «Credo ormai sia matura le riforma della legge 381. D?altronde lo strumento delle convenzioni e la vicenda della legge 68/99 sul collocamento obbligatorio hanno relegato la cooperazione alla semplice funzione di assistenza sociale pubblica. Ora è tempo di guardare a un nuovo ruolo della cooperazione sociale all?interno delle politiche attive del lavoro».
Di certo una tale prospettiva inserita nel potenziale scenario degli appalti riservati, potrebbe aprire numerose polemiche sull?effettiva liberalizzazione del mercato. Un esempio già c?è e riguarda la sperimentazione del Comune di Torino che dal 2004 bandisce gare d?appalto incentrate sull?inserimento dei soggetti a rischio emarginazione. Risultato? L?esclusione delle imprese private, che finora hanno potuto partecipare solo in Ati con cooperative. «Una conseguenza dell?incapacità delle aziende private di impostare progetti di inserimento», spiega Giussani. «Ma attualmente non vedo un pericolo per il libero mercato, anzi credo che la cooperazione possa avere l?opportunità di svolgere anche il ruolo di consulenza per le quelle imprese che saranno disposte ad aprirsi a progetti di inclusione socio-lavorativa».
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