Famiglia

Quelle due o tre cose che dovete sapere di noi

Intervista ad Alexian Santino Spinelli, intellettuale rom

di Sara De Carli

È vulcanico, irruento, sopra le righe. È un musicista, ha due lauree, una cattedra all?università di Trieste ed è rom. La sua famiglia vive in Abruzzo da sei secoli, in fuga dai turchi ottomani che premevano ai confini dell?Impero bizantino. Alexian Santino Spinelli, 43 anni, vive a Lanciano in una casa con 18 stanze, insieme alla moglie, tre figli, i genitori, due sorelle e una nipote. Da marzo è nel Comitato rom e sinti insieme, il primo esperimento italiano di democrazia partecipata fra i rom. Si definisce «neo nomade per lavoro»: quando lo raggiungiamo è reduce da una tre giorni Lanciano-Roma-Trieste. Casa, università e in mezzo una puntatina dal ministro Amato, per discutere di una conferenza sui rom da organizzare a Roma per l?autunno. E nel frattempo lavora al festival rom che ha creato, Alexian & friends, che sarà il 26 ottobre.

Vita: Non si è mai parlato tanto di rom come nel 2007?
Alexian Spinelli: Il punto è che se ne è sempre parlato per motivi legati alla sicurezza. Nessuno parla mai del patrimonio culturale dei rom. Tutto è appiattito a una sola dimensione, quella della sicurezza, dell?ordine pubblico, con l?aspetto sociale che schiaccia quello culturale. Siamo l?unico popolo fatto coincidere senza residui con i fatti sociali di cui è protagonista. Appare solo il degrado e il degrado viene elevato a modello culturale, che rappresenta tutto un popolo: questa per me è criminalità mediatica.

Vita: E invece?
Spinelli: Invece i rom non sono un problema sociale in quanto rom. La maggior parte di noi fa lavori normali: l?infermiere, il vigile, l?impiegato. Io sono rom dentro casa mia, ma quando esco devo essere considerato solo un cittadino italiano, soggetto di diritti, senza discriminazioni. Il problema – che esiste – è legato al degrado in cui alcuni rom vivono. Riguarda chi è arrivato qua ed è stato messo in un campo, segregato ai margini delle città, in una situazione di degrado e di apartheid. La separatezza alimenta la marginalità e il degrado alimenta la frustrazione. Da qui si passa alla devianza, è inevitabile: in un ambiente come il campo rom non possono certo sbocciare i fiori migliori di un popolo. Esistono impedimenti reali che devono essere rimossi: non è un fatto culturale, le ripeto, e invece questo martellare sulla sicurezza rischia di alimentare il mito dello zingaro che ha il delinquere nel dna. Diamo i nomi e cognomi dei delinquenti, non l?etnia: perché altrimenti l?opinione pubblica condannerà tutto il popolo rom. La devianza è l?effetto del degrado a cui queste persone sono costrette.

Vita: Costretti da chi?
Spinelli: Non li hanno inventati i rom i campi nomadi: i rom sono eterni emigranti coatti, che è una cosa diversa dal nomadismo per cultura. Sono quarant?anni che vediamo il fallimento dei campi: eppure chi li ha inventati è ancora punto di riferimento, interlocutore privilegiato del governo e dei mass media. È un paradosso, ma se i soldi spesi in Italia in 40 anni per i campi li avessero dati direttamente ai rom, adesso questi sarebbero milionari e problemi non ce ne sarebbero. Invece c?è un volontariato deviato, con poca conoscenza della realtà rom, che vuole leggi autoreferenziali, che parlano della ?tutela dei rom?. Ma se c?è una tutela, c?è un tutore: che sono ancora loro. Agitano lo spauracchio degli zingari e poi dicono: «Noi siamo essenziali per risolvere il problema, quindi dateci i soldi». C?è una ?ziganopoli? che deve ancora essere scoperchiata. Io non discuto la buona fede dei singoli, ma dico che l?impostazione di buona parte del volontariato che lavora con i rom è sbagliata.

Vita: In che senso?
Spinelli: La solidarietà verso i rom non si esplica nell?assistenzialismo. Le associazioni di volontariato italiane non devono arrogarsi il diritto di rappresentare i rom, ma lavorare per eliminare gli ostacoli che impediscono loro di essere soggetti di diritto. Il punto è che i rom non sono cittadini di diritto: certo, per la legge di discriminazioni non ce ne sono, ma nelle menti delle persone sì. Lo sanno tutti che se dici che sei rom nessuno ti dà la casa né un lavoro. Questa è la prima cosa. Rom in grado di autorappresentarsi ce ne sono : il problema è che vengono ignorati o, peggio, screditati.
Vita: È questo che intende parlando di criminalità mediatica?
Spinelli: Ma certo. Perché i giornali mettono sempre quelle foto orrende, ghettizzanti e ripugnanti, che favoriscono l?odio? Anche lei, metta delle foto belle, che fanno vedere i rom come persone, non come stereotipi. Perché nessuno fa mai vedere i rom presentabili, gli intellettuali? Si tratta dell?avvenire del nostro popolo, e non ci interpellano mai. Bisogna far parlare chi ha coscienza, non chi balbetta due parole di italiano ed è talmente preso dai bisogni primari che è contento se gli porti una busta con la spesa. L?approccio dei media non fa che allontanare le persone da noi e alimentare la discriminazione.

Vita: Che soluzioni vede?
Spinelli: Facciamo vedere che esiste una dimensione culturale rom non becera né folcloristica, valorizziamo la nostra cultura: perché per questo non si stanzia un soldo? La mia associazione fa ogni anno un concorso con artisti di livello internazionale: perché la Rai non ci ha mai ripreso? Se la gente vedesse un evento del genere, qualcosa cambierebbe. Come cambia l?atteggiamento mentale davanti a un rom appena uscito da un campo o davanti a Liszt, Schubert, Ravel, Béla Bàrtok, Cortés, Charlie Chaplin, Ava Gardner, Rita Hayworth: tutti hanno sangue rom nelle vene. Perché gli intellettuali italiani non sono mai scesi in strada contro la segregazione dei rom? Perché nessuno la percepisce come tale, i media la fanno passare come una scelta culturale. Ecco, molto dipende da questo: noi non abbiamo solidarietà perché nessuno sa davvero chi siamo.


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