Volontariato
Il mio tango anti Alzheimer
Immigrati. La straordinaria storia di Alberto Chicayban
L?iPod non gli serve. In treno Alberto Chicayban si suona la sua musica da sé, con gli auricolari attaccati a una chitarra fatta apposta per viaggiare. «Sono un musicoterapeuta un po? particolare», così si definisce il brasiliano. «Non vengo dall?ambito psicologico. All?università ho studiato composizione musicale e poi linguistica, da lì sono approdato alla psicolinguistica». Un percorso tutto curve e tornanti, che inizia a Niterói, di fronte a Rio de Janeiro, passa da San Paolo e arriva a Genova e Trieste.
In Italia Alberto si occupa di ricerche e laboratori di stimolazione musicale per malati di Alzheimer, disabili, persone con disturbi mentali, preadolescenti a rischio bullismo. Lavora con la cooperativa Itaca in Friuli e Veneto. In Liguria collabora con la Asl 3, l?Università di Genova e l?Associazione nazionale di ecobiopsicologia (Aneb) in un progetto finanziato dalla Fondazione Carige.
Il primo incontro
«Ho incontrato la musica a cinque anni, alla Messa di Natale. Quella notte le vibrazioni dell?organo erano così forti che facevano crollare l?intonaco. A un certo punto gli occhi mi si sono riempiti di lacrime: ho detto a mio padre che era per quello che stavo ascoltando». Da allora le note seguono ogni passo di Alberto. E con le note lui ricostruisce la vita degli altri. Così, ad esempio, conosce a memoria tutte le nostre canzoni popolari, da Quel mazzolin di fiori a Bella ciao, alla triestina La mula de Parenzo. ?Mula? in italiano vuol dire ?ragazza?, il brasiliano lo sa.
«Ci sono molte differenze tra la stimolazione musicale e la musicoterapia cosiddetta classica. La prima considera il passato, la cultura della persona e del territorio in cui vive e ha vissuto. Chi la fa dev?essere un musicista di professione, perché tra lui e il soggetto in terapia c?è l?arte, verità e bellezza», dice Alberto. Aggrotta le sopracciglia. Non sono cose facili da spiegare a parole. «I laboratori sono momenti intensi e impegnativi. Ti sfiniscono di emozioni». Ma i risultati sono sorprendenti. Una volta Alberto ha suonato un tango per Angelo, anziano genovese con l?Alzheimer, per fargli ricordare la sua giovinezza di emigrato in Argentina, quando si manteneva cantando nei locali notturni. E Angelo, con la mente non più lucida, si è messo a cantare.
Conta il contesto
All?inizio c?è diffidenza, persino rifiuto, pian piano gli utenti acquistano fiducia, si lasciano andare e partecipano volentieri ai laboratori. Ma perché la cosa funzioni si deve creare un legame speciale tra il conduttore, il soggetto in terapia e lo strumento musicale stesso. «La signora Silvana collegava inconsciamente le mie corde vocali alla cassa di risonanza quando, cantando, mi ha toccato il collo e poi la chitarra. Dietro di lei la figlia piangeva commossa», continua Alberto. «Ai laboratori di stimolazione musicale partecipano anche parenti e operatori sociali. È un?altra differenza con la musicoterapia. Il contesto è importante, l?ho imparato in Italia. In Brasile lavoravo solo in ambito ospedaliero ed ero abituato a considerare malati, non persone, i soggetti che avevo di fronte».
Ormai è come se Alberto avesse la doppia cittadinanza, persino nel subconscio. Sogna di essere a casa sua in Brasile, con la mamma e le sorelle che parlano in italiano. Prende l?ascensore e finisce in strada a Trieste, questa città che gli ha rivoluzionato la vita e il modo di pensare. «Una volta stavo facendo un laboratorio con soggetti affetti da disturbi mentali. A un certo punto uno arriva esaltatissimo. Dice che è stato in Messico e ha ballato tutta la notte? E io penso, mamma mia questo oggi è pericoloso, meglio tenerlo lontano. Allora gli dico: ?Hai fatto un lungo viaggio, non è meglio se ti riposi??. E lui risponde incredulo che il Messico è il locale di un amico, proprio dietro l?angolo! Lì mi sono sentito davvero un cretino. Non ci avevo capito niente. Pensavo che lui stesse male, invece era il contrario».
A Trieste Alberto vede quant?è sottile la linea tra salute e malattia. Apre gli occhi chiari e inizia a guardare chi ha di fronte ricostruendone la storia personale. E oggi quasi non si stupisce che un gruppo di malati di Alzheimer e affetti da demenza continuino a suonare e cantare da soli alla fine di un laboratorio. È successo al centro diurno per anziani di Gaiarine, Treviso. Alberto si è allontanato senza guardarli, immaginandoli come erano da giovani. Come se le foto in bianco e nero del passato prendessero colore e istanti di vita.
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