Welfare
Amici, chiariamoci le idee. di politiche ce ne sono due
Terzo o non più terzo. Il non profit e la politica
Intervengo nel vivace dibattito aperto dall?intervento di Johnny Dotti su Vita di un mese fa (cfr Vita, n.28), sollecitato dalla lettura attenta dei contributi di tanti amici ai quali va il mio ringraziamento sincero. I termini della ?disputa? sono ormai ben noti. Non spreco dunque il poco spazio che ho a disposizione per richiamarli qui.
Due precisazioni, a mo? di premessa, ritengo tuttavia opportune. La prima è che ciò che è in discussione non è l?impegno in politica che ciascun cittadino, proprio perchè e in quanto tale, deve esibire; ma l?impegno di persone che sono dirigenti o che ricoprono ruoli vari di responsabilità in soggetti del Terzo Settore o, meglio ancora, nelle cosiddette ?organizzazioni delle libertà sociali? (Ols) ? come le ha opportunamente chiamate Gustavo Zagrebelski nella famosa sentenza della Corte Costituzionale del 2003. Si tratta di persone che portano in dote, nel momento in cui fanno una scelta di campo politico, un capitale reputazionale che non è frutto solamente del loro impegno individuale, ma anche dell?impegno e del lavoro dei tanti membri delle organizzazioni di cui sono espressione.
La seconda precisazione è che ciò intorno a cui stiamo ragionando riguarda il piano della giustificazione, non quello della legittimazione. Legittimo è ciò che si può fare perché non viola alcuna norma, legale, sociale o morale che sia. Una iniziativa, invece, è giustificata quando chi la propone riesce a produrre almeno una ragione a suo sostegno. Giustificare, cioè, significa dare ragioni per l?azione. La domanda, allora, è se è giustificabile ? non se è legittimo, perché lo è certamente ? che dirigenti e/o responsabili di Ols confluiscano in un partito, per cercare di orientarne il pensiero e possibilmente la piattaforma. La risposta dipende dalla concezione della politica che si intende accogliere. Rifacendomi alla ormai celebre distinzione del politologo americano Michael Oaekeshott, la scelta è tra politica come ?enterprise association? e politica come ?civil association?.
La politica come impresa
La prima concezione, che presuppone in qualche grado almeno una visione della società di stampo organicistico, vede la politica come l?attività cui spetta di guidare la società in una direzione determinata. Con il che la sfera del politico viene a coincidere, di fatto, con la sfera del pubblico, che ? lo ricordo ? è lo spazio nel quale si affrontano questioni del tipo: il welfare da progettare deve mirare a migliorare le condizioni di vita di chi versa nel bisogno o non piuttosto le capacità di vita di costoro; i mercati civili hanno o no diritto di cittadinanza nelle nostre economie di mercato o ci si deve limitare a regolare i mercati darwiniani; la sussidiarietà è una conveniente tecnica di governo oppure è un principio di organizzazione della società; e così via.
Per la concezione della politica come ?entreprise association? i partiti sono dunque assimilabili, per analogia, al management di una grande impresa che deve sforzarsi di rendere compatibili le richieste delle varie classi di stakeholder se vuole che l?impresa possa competere a lungo sul mercato.
L?altra concezione, invece, che si rifà all?ideale liberal-democratico della politica, non accetta che lo spazio pubblico sia tutto occupato, senza scarti, dai partiti, i quali sono bensì attori indispensabili, ma non unici, in un palcoscenico nel quale recitano anche attori sociali e civili. Non accetta, cioè, che questi ultimi siano sussunti nei primi. Entrambe le concezioni hanno la loro ragion d?essere e i loro rispettivi punti di forza e di debolezza. Sia pure variamente interpretate e adattate ai diversi contesti, esse sono presenti, in modo trasversale nei due schieramenti, nella cultura e nella prassi politica italiana.
A questo punto, risulta chiara la risposta che si può dare alla domanda sopra posta. Se si opta per la prima concezione di politica, il Terzo Settore ?deve? entrare con i suoi dirigenti e rappresentanti nei partiti, perché è lì che si realizza la sintesi delle varie istanze, prima che vengano portate innanzi alle sedi istituzionali.
Ecco le conseguenze
Non così, invece, se si sceglie la politica come ?civil association?. In tal caso, le Ols ?devono? restare fuori dallo spazio occupato dai partiti, perché solo conservando la propria piena autonomia ? che, si badi, non è separatezza, bensì distinzione ? questi soggetti sono capaci di esercitare la voice di cui parla Hirschman e quindi sono in grado di incidere sull?esito finale del processo deliberativo. Il Terzo Settore, cioè, tanto coopera quanto confligge con i partiti, ma sempre secondo il modo della concordia discors. Nell?altra situazione, invece, una volta entrati nei partiti, ai rappresentanti del Terzo Settore non resterebbe che l?opzione exit, qualora emergessero conflitti insanabili al loro interno.
In definitiva, dunque, il vero nodo da sciogliere diventa: nelle condizioni storiche attuali, quale visione della politica è la più adeguata a interpretare le esigenze di progresso ? e non solo di sviluppo ? di un paese come il nostro, che si trova di fronte a sfide inedite e di portata veramente epocale? Se la socialità umana non è garantita dalla mera composizione degli interessi contrastanti dei diversi gruppi sociali, quale nozione di politica è più capace di realizzare le condizioni per ?stare con?, cioè per dare ali al principio di fraternità? Se il fine della politica è il bene comune del consorzio umano ? che non è, si badi, il bene totale o il bene collettivo ? qual è il modello di ordine sociale a ciò più consono ed efficace cui guardare? La mia personale risposta è la politica come associazione civile. Ma è evidente che su temi del genere occorre cercare ancora e insieme.
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