Formazione

SJ. Impresa sociale, il welfare di domani passa da qui

In attesa dei decreti attuativi delle prima legge sull'impresa sociale

di Luca Zanfei

A meno di clamorosi dietrofront, entro primavera si chiuderà finalmente l?intricata vicenda della legge sull?impresa sociale. Il ministero della Solidarietà ha già definito il testo dei quattro decreti attuativi mancanti e a breve inizierà l?iter per la definitiva approvazione.
Sembra dunque concludersi positivamente il lungo braccio di ferro tra governo e terzo settore, se non fosse che dagli uffici ministeriali ancora tutto tace in merito al pacchetto di incentivi e agevolazioni fiscali richiesto a gran voce da tutte le associazioni di categoria. Per ora non sono previste riunioni tecniche né tavoli di concertazione. E in attesa di valutare nel merito i decreti, per il terzo settore si riapre il dibattito. Un confronto già iniziato nelle tre giornate organizzate da Issan a Riva del Garda, dove associazioni e cooperative hanno discusso del reale impatto di una normativa che al momento riparte nel segno dell?incertezza.
«Allo stato attuale, la nuova legge avrà un semplice carattere ordinatorio per quei soggetti del terzo settore che ancora hanno sistemi normativi incompleti o da riformare», spiega Davide Drei, vicepresidente di Federsolidarietà. «Per capire il vero valore aggiunto di questa legislazione si dovrà aspettare la soluzione di alcune questioni interne al volontariato e all?associazionismo in generale».

Le incognite
«La legge funzionerà e acquisirà valore se riuscirà a creare qualcosa di altro rispetto all?esistente. Ci si chiede se nasceranno davvero dei nuovi competitori in questo settore e quali saranno le politiche che verranno impiegate per sostenerli e promuoverli», spiega Costanza Fanelli di Legacoopsociali. «Il rischio è che ci si limiti a fotografare l?attuale stato dell?arte, congelando di fatto le potenzialità enormi di riformare il sistema di welfare». Finora la vera novità sembra essere semplicemente quella di allargare il quadro di azione a una vasta platea di forme giuridiche accomunate dalla stessa missione sociale. Ma la posta in gioco riguarda i modelli e le competenze impiegate per raggiungere quella peculiare missione. «Lo sguardo», chiarisce Giacomo Libardi, vicepresidente di Cgm, «si dovrà spostare dalla definizione della missione alla promozione di un diverso modo di vedere il proprio ruolo e la propria attività. Soprattutto per la cooperazione si tratta di un campo di azione importante perché si sta mettendo in gioco lo stesso modo di fare impresa. Ma questa sensibilità non può venire da un ministro, l?input deve partire dal basso, dal dibattito interno tra i diversi soggetti coinvolti, così da definire gli ambiti di azione. Propongo di metterci intorno ad un tavolo -cooperazione, fondazioni, associazioni e anche soggetti imprenditoriali – per definire un quadro chiaro di prassi».

Una nuova rete
Ciò che si prospetta è, dunque, un nuovo modo di fare rete per affrontare i nuovi bisogni sociali. «La nuova legge ci dà l?opportunità di reimpostare il nostro modello di collaborazione con l?esterno», sottolinea Drei. «Si è capito ormai che le reti tradizionali non sono più sufficienti e che serve coinvolgere attori per noi inusuali. Contemporaneamente però si rende necessario promuovere una cultura diversa del fare sociale: ad esempio toccherà rivedere lo stesso concetto di responsabilità di impresa, non più nell?ottica di mera erogazione di fondi, ma di attenzione al ruolo di governance interna dei processi».
L?obiettivo sembra essere quello di analizzare e affrontare la realtà con categorie diverse, finalmente svincolate dalla visione assistenziale dell?intervento pubblico. «Una delle vere novità della nuova normativa sta proprio nella possibilità di entrare in contatto con nuovi settori di attività», puntualizza Sergio D?Angelo, vicepresidente di Legacoopsociali. «La cooperazione, ad esempio, potrà finalmente svestire i panni di semplice erogatore del servizio pubblico per guardare con più interesse a una concezione diversa dello sviluppo comunitario. Il benessere è anche la garanzia di una crescita economica incentrata sulla sostenibilità e sulla responsabilità sociale. Per questo è necessario dialogare con altre realtà che non hanno fatto il nostro stesso percorso, ma che sono disponibili a impostare e intraprendere la sfida dell?impresa sociale».


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