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SJ. Le “istruzioni per l’uso”? Vedi alla voce coop sociali

L'impresa non profit che già c'è e funziona. Come dimostra l'Istat

di Redazione

Uno degli aspetti che più colpisce della nuova legge sull?impresa sociale è il dibattito che ha suscitato a fronte di una situazione applicativa fin qui francamente deludente. Le analisi e le prese di posizione si sono concentrate soprattutto sugli aspetti di innovazione: nuovi ambiti di intervento, nuove forme giuridiche, ecc. lasciando sullo sfondo, quasi come dato per scontato, la cooperazione sociale, ovvero la forma più consolidata e diffusa di impresa a finalità sociale non solo in Italia ma probabilmente anche in Europa.
I nuovi dati sulla cooperazione sociale pubblicati dall?Istat e presentati alle recenti Giornate di Bertinoro hanno contribuito a riportare l?attenzione su questo fenomeno e soprattutto hanno messo in luce come anche dalle esperienze più storicizzate possono ancora venire interessanti spunti di dibattito ed elementi di innovazione.

Piccole e in rete
In termini generali, la cooperazione sociale è ancora un settore in crescita guardando a tutti i suoi parametri: numero di imprese, addetti, utenti, servizi, giro d?affari.
Il modello si basa su uno sviluppo per moltiplicazione del numero di imprese (le cooperative sociali sono oggi 7.363, con un aumento pari al 19,5% rispetto al 2003) e replicazione di alcune caratteristiche strutturali.
Si tratta infatti di imprese di piccole (e piccolissime) dimensioni (in media 40 soci e 34 addetti retribuiti), prevalentemente orientate alla produzione di servizi socio-assistenziali ed educativi (le cooperative di tipo A sono pari al 59% del totale) nell?ambito di mercati pubblici (il 65,9% ha entrate prevalenti da enti pubblici). Sono inoltre governate da una pluralità di portatori di interesse (il 48% ha tre o più tipologie di soci nella propria compagine) e hanno una propensione all?aggregazione in rete utilizzando la forma consortile (il 27% dei consorzi è nato dopo il 2001).
Il giro d?affari è pari a 6,3 miliardi di euro con un aumento del 32% rispetto al 2003, gli utenti sono 3,3 milioni, in crescita del 37,4% rispetto al 2003.

Nuove frontiere
Il quadro che emerge è quindi di una popolazione di imprese che in questi anni sembra essere riuscita a stabilizzare il proprio modello organizzativo e gestionale, lavorando sul versante dell?efficienza dei principali capitali disponibili: quello economico e soprattutto quello umano. Ciò ha consentito di sviluppare ulteriormente la dimensione economico-produttiva e di allargare la platea dei beneficiari, non solo in termini quantitativi ma anche per tipologia.
Cresce infatti il numero di utenti «senza specifici disagi sociali» e la quota di servizi ad essi rivolti che non ricadono nel tradizionale ambito socio-assistenziale ma in quello culturale, ricreativo, educativo, ecc. Sembra quasi che le cooperative sociali abbiano intrapreso un percorso di uscita dalla nicchia dei servizi sociali, in attesa che l?applicazione della nuova normativa sancisca formalmente questa possibilità.

Riflessioni cercansi
Rimangono sullo sfondo alcuni interrogativi: da un lato, la progressiva diffusione e consolidamento del modello segnala che la cooperazione sociale ha ormai superato la fase pionieristica e ha intrapreso una traiettoria di sviluppo ben definita. D?altro canto non è ancora del tutto chiaro fino a che punto questo stesso modello – sottoposto a un così significativo ?stress da crescita? – sia in grado di affrontare i più recenti mutamenti a livello socio-economico e normativo: i bisogni che si moltiplicano, il welfare in continua fase di riforma, l?ingresso di nuovi concorrenti in ambiti in passato ?monopolizzati?, ecc.

Ed è forse per questa ragione che è importante dar vita a iniziative volte a riconoscere e valorizzare elementi di innovazione sperimentati sul campo dalle cooperative sociali, passando attraverso il potenziamento di una funzione di ricerca e sviluppo che vede, secondo altri dati Istat, il non profit (e la cooperazione sociale) come ?fanalino di coda?.


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