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Anche gli enti stranieri possono essere onlus
L'agenzia delle entrate ha "aperto" all'estero
Prima del 26 giugno 2006, avrei detto che non sarebbe stato possibile per un ente straniero non residente qualificarsi come onlus. Oggi devo affermare il contrario.
Quale folgorazione mi ha colpito sulla via di Damasco? Non io, per la verità, sono stato illuminato, ma l?Agenzia delle Entrate, che è tornata sui suoi passi andando a correggere una propria posizione precedente.
I fatti sono presto detti. Nel 1998, sei mesi dopo l?uscita della legge sulle onlus (dlgs 460/97) l?amministrazione finanziaria sentenziò (con la circolare 168/98, al punto 1.1) che per un ente non residente non era possibile diventare onlus, per due ordini di motivi: primo, i riferimenti di legge e gli istituti di diritto richiamati dalla norma non possono che riferirsi ad enti residenti; secondo, come facciamo – si chiedeva l?Agenzia – a esperire i controlli sui vincoli statutari?
Pertanto, pur in assenza di un?espressa esclusione nella norma, di fatto le onlus possono essere solo enti residenti. Insomma, un secco no.
L?Unione Europea, però, invitò – prima di dover attuare una procedura di infrazione – l?amministrazione finanziaria a ripensarci. Ubi maior con quel che segue, si devono esser detti all?Agenzia. E a metà del 2006 (con la circolare 24), la stessa si espresse cercando di non smentire se stessa, asserendo che il divieto di qualificare come onlus un ente non residente «non deve intendersi come una preclusione assoluta», in quanto, se ricorrono tutti i requisiti di cui alla legge, «nulla osta al riconoscimento della qualifica di onlus in favore degli enti residenti all?estero e, quindi, alla possibilità che gli stessi siano ammessi a beneficiare del relativo regime agevolativo». Tutto a posto? Non proprio, aggiungo io. Tra la teoria e la pratica come al solito ce ne corre, soprattutto perché ci troviamo all?interno di una legislazione (quella sul terzo settore) particolarmente ricca di trabocchetti.
Lei scrive, nel resto della sua lettera, che la fondazione olandese opera in particolare «nei settori della cooperazione internazionale, dell?assistenza umanitaria, sociale, pedagogica, sanitaria, psicologica ed educativa a favore dell?infanzia e dell?adolescenza vulnerabile nei Paesi poveri». I requisiti formali e sostanziali di cui all?articolo 10 della legge onlus sono particolarmente stringenti e mettono in difficoltà anche i notai italiani; una fondazione olandese – come nel caso in esame – dovrebbe modificare il proprio statuto inserendo detti requisiti (e rispettandoli almeno per la branch italiana) senza andare in conflitto con la legge omologa (sugli enti non profit) del proprio Paese. Pertanto dovrebbe prima appurare che il proprio ente pubblico di controllo dia consenso favorevole alle modifiche e successivamente inoltrare l?istanza alla Direzione regionale delle Entrate dove il proprio procuratore domicilia l?ente.
Detto questo, bisogna ricordare da ultimo che non è possibile creare una onlus come ente di sola raccolta fondi, come più volte ricordato dalla stessa Agenzia delle Entrate. La via utilizzata da organizzazioni di derivazione straniera è notoriamente un?altra: la costituzione di ente residente in Italia operativo sul nostro territorio, indipendente, con collegamenti virtuosi (e non di mera dipendenza come ?macchina da soldi locale?) con l?organizzazione madre.
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