Mondo

Iraq: dopo appello Usa, qualche sì, tanti vedremo

Dopo la richiesta a 52 Paesi, l'Italia fa sapere che la decisione sarà comune, Londra e' pronta a scendere in campo come pure, pare, Copenaghen

di Redazione

Gli Stati Uniti ricevono le prime risposte alla richiesta, inviata a 52 Paesi partners ed alleati, di indicare se e come sarebbero disposti a partecipare a un’azione militare per indurre l’Iraq al disarmo, se e quando sara’ decisa. C’e’, finora, qualche si’ e ci sono molti ‘vedremo’: pochi sono pronti a impegnarsi subito. Ma, mentre, a Praga, i Paesi della Nato concordano un testo che li impegna ad ”azioni efficaci” a sostegno degli sforzi dell’Onu per il disarmo dell’Iraq, il segretario alla difesa americano, Donald Rumsfeld, sembra andare oltre nei suoi contatti bilaterali. Rumsfeld riferisce di discussioni ”costruttive”, sull’eventualita’ di una guerra contro l’Iraq: numerosi Paesi dell’Alleanza atlantica valutano l’ipotesi di parteciparvi, aggiunge, anche se ”nessuna decisione sul ricorso alla forza e’ stata presa”. E puo’ anche darsi che non sia necessario farlo, se Baghdad accettera’ di disarmare. Ma, se conflitto dovesse esserci, ”ogni Paese decidera’ quel che vuole fare e la Nato in quanto istituzione fara’ altrettanto”. Tutti i Paesi alleati hanno ricevuto la lettera questionario del Dipartimento di Stato americano e molti di essi lo confermano apertamente. Alcuni hanno gia’ reagito: se l’Italia fa sapere che la decisione, se ci sara’, sara’ comune, Londra e’ pronta a scendere in campo accanto agli Stati Uniti, come pure, pare, Copenaghen; la Francia e la Germania valutano le richieste (ma Joshka Fischer, ministro degli esteri di Berlino, ribadisce a Praga il no alla guerra). Risposte positive arrivano, o erano gia’ arrivate prima che la lettera partisse, da alcuni Paesi oggi invitati a fare parte della Nato, come la Bulgaria e la Romania, pronti a offrire basi e diritti di sorvolo, se non uomini e mezzi, mentre uno dei Paesi dell’Alleanza piu’ impegnati nella guerra contro il terrorismo in Afghanistan, il Canada, ribadisce di essere pronto a scendere in campo conto l’Iraq, ma solo se lo dira’ l’Onu. La Turchia, oggetto di un corteggiamento insistito da parte degli Stati Uniti, perche’ ”esempio di democrazia islamica”, ma anche perche’ unico Paese della Nato confinante con l’Iraq, studia se concedere l’uso delle basi. Quella di Incirclik viene gia’ usata dalle pattuglie che fanno rispettare la zona di non sorvolo a nord dell’Iraq e che spesso attaccano obiettivi della difesa aerea e contraerea irachena. Fanno altrettanto l’Azerbaigian e i Paesi dell’Asia centrale divenuti importanti per la politica estera americana con il conflitto afghano (come l’Uzbekistan e il Tagikistan). Da altre zone del mondo, l’Australia, che, come il Canada, ha uomini in armi in Afghanistan, si prepara a inviarne in Iraq, anche se dice che e’ troppo presto per impegnasi formalmente. Il Giappone e la Corea del Sud confermano di avere ricevuto la richiesta, ma non si sbilanciano. La Cina, invece, sembra incline a collaborare: ha dato via libera all’attracco nei suoi porti di due portaerei americane con i loro gruppi navali, una delle quali in rotta verso il Golfo. Buone notizie, per gli Stati Uniti, infine, dal Golfo, dove Paesi come il Qatar, il Bahrain e il Kuwait confermano d’essere pronti a servire da basi avanzate per le forze Usa e alleate.


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