Welfare

Ben 10mila volontari tra le celle. Il cuore oltre le sbarre

Un fenomeno vastissimo e nascosto. Ogni settimana ci sono persone che donano 22mila ore per aiutare i 56mila reclusi del sistema carcerario. (di Antonio Menna).

di Redazione

Sono quasi in 10mila in Italia, riuniti in 351 organizzazioni. Insieme garantiscono più di 22mila ore settimanali di presenza nelle carceri. Questo, in cifre, il quadro dell?impegno dei volontari nel mondo della detenzione. Un vero e proprio esercito che lavora ?a mani nude?, cioè fuori da progetti e puntando sul contatto umano e sull?assistenza o dentro programmi specifici per il recupero scolastico e la formazione professionale dei detenuti. Credere nel recupero Ogni anno vengono sviluppati circa 13mila progetti personalizzati che, nella maggior parte dei casi, hanno successo fino al punto di dare una possibilità occupazionale a chi esce dal carcere. «Il nostro lavoro è di rendere meno inutile il tempo che i detenuti trascorrono dietro le sbarre», puntualizza Claudio Messina, 53 anni, ex impiegato all?Ilva di Piombino, che da tre anni con i Vincenziani va ogni settimana nel carcere di Porto Azzurro. «Noi crediamo davvero nella rieducazione. Il problema è costruire luoghi dove questa idea sia praticabile. Per come sono fatte le carceri italiane è già tanto se il detenuto esce sano di mente e integro nel corpo». Ma che cosa fa un volontario in carcere? «Noi», spiegano alla Caritas Ambrosiana, «lavoriamo in tre direzioni: promuoviamo azioni che possano migliorare la vita interna al carcere; attiviamo circuiti di uscita dal carcere attraverso la promozione di progetti; promuoviamo la riflessione culturale rispetto al significato della pena. I risultati sono eccellenti: i detenuti sono attenti, motivati. La situazione di sofferenza li rende disponibili verso tutto ciò che può aiutarli. Bisogna solo mettersi in ascolto». Niente grandi sigle è un volontario diverso dagli altri quello che entra nelle carceri. Un volontario che a partire dall?area delle detenzione incontra il dolore, il disagio, il bisogno, il rischio e via via allarga la sua sfera d?azione a tutti i fenomeni sociali correlati. «Non è un volontario specialistico, non nasce allo scopo di assistere o promuovere la vita sociale dei detenuti», ha spiegato la Fivol in una ricerca sulla loro attività pubblicata nel 2000 (in questi mesi ne è in preparazione un?altra e già si annunciano dati in forte crescita). «Il suo obiettivo è misurarsi con il luogo massimo del dolore. Il volontario nelle carceri è meno legato a grandi sigle, è più locale, più espressione di comunità. Ma è anche un volontario più maturo, che si coordina, che lavora con le istituzioni, che costruisce una strategia di approccio spesso vincente». Aumentano i numeri, ma resta una forte selettività alla radice. «Il carcere», spiega Claudio Messina, «ha i suoi orari, i suoi riti, i suoi tempi: non è una esperienza per tutti, non solo per la fatica ma anche per l?organizzazione. Io mi ci sono dedicato a tempo pieno da quando sono finito in pensione anticipata». Resta dominante la componente di ispirazione cristiana. «Ma il volontario cattolico», prosegue il rapporto Fivol, «non è più monolitico come un tempo, non porta solo conforto, ma ammortizza anche i problemi interni alla vita carceraria, è collegato con la società civile». Dal 1998 le organizzazioni di volontariato che operano sui temi del carcere e della giustizia sono riunite in una consulta permanente che ha sede a Roma. Si chiama Conferenza nazionale volontariato giustizia: il nucleo fondatore è rappresentato da Arci-Ora d?Aria, Fivol, Caritas e dal vecchio organismo di coordinamento delle associazioni Seac. Si sono poi aggiunti Antigone, l?associazione comunità Papa Giovanni XXIII, Libera e la Società San Vincenzo de? Paoli. Accanto a loro sono fiorite negli anni centinaia di associazioni locali che, sul territorio, formano le Conferenze regionali. Forti dei numeri e dell?aggregazione, i volontari hanno pubblicato ricerche, coordinato iniziative e, soprattutto, costituito un gruppo forte di pressione verso la riottosa burocrazia penitenziaria, che li ha sempre visti come intrusi indesiderati. Qualche conquista Nel 1999 la prima importante conquista: con l?allora Guardasigilli Diliberto si firma un protocollo di intesa per facilitare l?ingresso nelle carceri. Un risultato che è rimasto per metà sulla carta. Restano ancora tante, infatti, le resistenze dei direttori dei penitenziari verso i volontari. Permessi negati, progetti ostacolati, incontri che all?improvviso vengono interrotti. «La loro funzione», chiarisce Giancarlo Zappa, ex presidente del Tribunale di sorveglianza di Brescia e fondatore dell?associazione Carcere e Territorio, «non ha nulla a che vedere con il buonismo. Il carcere, oggi, mi ha scritto un detenuto, è un allevamento di pit bull. Il volontariato aiuta non perché è buono o, peggio, solidale con il delitto, ma perché vuole provare a ricucire lo strappo creato dal reato tra il singolo e la società». Un?azione che aiuta il carcerato ma che rappresenta una esperienza eccezionale anche per chi la fa. «Il volontariato nelle carceri», dice don Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana, «è una proposta educativa e di crescita di quei valori cristiani che lo promuovono e lo animano per dare testimonianza in un ambiente di ?non-valori?. Proprio nelle carceri il volontariato cristiano trova uno spazio meraviglioso». Ne è un esempio l?esperienza al carcere di Poggioreale a Napoli, uno degli istituti più affollati e degradati d?Italia: qui entrano stabilmente quattro associazioni. La prima è stata l?Opera don Calabria. Sono arrivati in cinque nel 1989: tesserini da visitatori procurati da don Lorenzo Zocca, allora cappellano del carcere. Cinque ?volontari a mani nude? che svolgono ?semplicemente? un?opera di sostegno morale creando un gruppo di preghiera, che negli anni è cresciuto. «All?inizio», ricordano i volontari, «alcuni erano venuti per riempire il tempo che in carcere sembra non passare mai, ma gradualmente, a ogni incontro il gruppo cresceva». Oggi l?Opera don Calabria lavora con i detenuti anche fuori dal carcere. «E succede sempre più spesso», rivela un volontario, «che alcuni di essi diventino poi nostri volontari. Questo è il segno più evidente del successo del nostro lavoro». Antonio Menna


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