Cultura

Il punk faccia i conti con Dio

Conversioni. Giovanni Lindo Ferretti a cuore aperto: «Cosa non capiscono i miei colleghi». L'ex leader dei CCCP spiega le ragioni della sua svolta

di Giorgio Tonelli

La nonna, soprattutto. «Sono diventato cattolico grazie a nonna Maddalena, che non era una gran teologa ma aveva fede nella capacità delle preghiere di ritrovare l?equilibrio quotidiano». Poi l?Emilia. Nell?antica casa in pietra a Cerreto Alpi, sul crinale reggiano. Giovanni Lindo Ferretti è tornato nei luoghi in cui è nato, circondato dall?affetto della mamma 86enne, con la quale recita il rosario tutti i giorni, e dei suoi cavalli. Dopo 30 anni di religione comunista, nella versione punk dei CCCP «fedeli alla linea, anche se la linea non c?è», oggi molto è cambiato. Vita: Se la chiamano punk cattolico, lei si arrabbia? Giovanni Lindo Ferretti: Sono un ex cantante punkettone, non so cantare in altro modo. Sono cattolico e quindi ognuno ha il diritto di unire questi due termini. Vita: Cosa le è rimasto dei CCCP? Ferretti: È rimasta la mia vita. Vederne le negatività è facile ma so vederne anche le positività: per esempio non sono diventato tronfio, borioso e autosufficiente. Mi sono molto ?sporcato? con quelli che sono stati i miei anni. Se mi capita di pensare a ciò che ho scritto ed ho fatto, non mi sento, in onestà, di aver cose da ripudiare, al di là di una stupidità di superficie. Comunque, in questo momento, mi sento più legato a tutto ciò che è successo nella mia vita prima di diventare il cantante dei CCCP o a quello che sta succedendo ora che sono tornato a casa. Quest?ultimo tempo è molto veloce ed il mio cambiamento lo percepisco in maniera visiva, da un mese all?altro, mentre per 15-20 anni sono più o meno rimasto simile. Vita: Quanto serve un pensiero forte per trovare un senso alla propria vita? Ferretti: Non mi piace l?idea stessa che esista un pensiero debole. Esiste un non-pensiero. Come si fa ad avere un pensiero debole o inconcludente essendo figlio di un padre e di una madre? E poi ci sono i nonni e ci sono coloro che verranno dopo. Non so nemmeno cosa voglia dire pensiero debole se non l?idea che mi stanno fregando. Qualsiasi pensiero, compreso il pensiero debole, è un pensiero forte? È un pensiero forte, ammazza la vita! Figurati se non è forte. Vita: Lei è passato attraverso l?esperienza della malattia. Quanto teme la morte? Ferretti: La possibilità di poter morire è qualcosa di molto preoccupante quando stai bene. Sono stato troppe volte in ospedale e alcune volte in pericolo di vita ed è molto diverso quel che succede nella propria interiorità. Cose che sono inimmaginabili quando stai bene, sono attraversabili quando stai male. Mi sono persino molto innervosito con questa moda di non far percepire il dolore, indipendentemente da quello che hai. Per due volte mi sono sentito molto a disagio in questa dimensione, perché se io sono molto malato e mi si toglie completamente il dolore, io non sono in grado – da un punto di vista fisico e mentale – di mettere in atto tutta quella forza che gli uomini possiedono. Questo l?ho sperimentato con la Nubia, la matrona, la madre di buona parte dei miei cavalli. È stata molto malata perché le si era attorcigliato un filo spinato attorno alle gambe. Un giorno ho cercato un antidolorifico per non vederla soffrire. Quel che è successo è stato tragico, poiché l?animale non possiede nemmeno l?idea della malattia e della guarigione che hanno gli esseri umani. La sua reazione è istintiva. Nel momento in cui le ho tolto il dolore lei si è massacrata. Non sentendo più male pensava di essere guarita. Vita: Dalla sua libreria emerge che lei è un avido lettore dei libri di papa Ratzinger? Ferretti: Ne avevo sentito parlare troppo male perché non fosse il caso di andare a vedere cosa dicesse questa persona. Penso che i teologi siano un po? come le tasse, una cosa necessaria entro un limite giusto. Vita: Lei ha dedicato un concerto a don Giuseppe Dossetti. Perché? Ferretti: È una persona con cui il mio ritorno a casa si è confrontato e continua a confrontarsi. Dossetti è stato sicuramente un sant?uomo anche se avesse sbagliato tutto nella vita. Lo ricordo a Monteveglio, a Montesole, alla Pietra di Bismantova o a Reggio Emilia. Quando io ero bambino ed ero un bambino cattolico, lui era il nostro eroe nella lotta contro il comunismo. Era il bastione del cattolicesimo contro il comunismo. E quando facevo le elementari dalle suore, ci facevano pregare perché non vincessero i comunisti. Poi io sono diventato comunista. Per 30 anni non mi sono più interessato del problema. Poi Dossetti l?ho ritrovato con i Comitati per la salvaguardia della Costituzione ed era diventato il vessillo dei comunisti e la cosa mi ha fatto sorridere. Vita: La disturba il termine conversione? Ferretti: Io sono nato in una famiglia cattolica e sono stato cattolico fino a 14-15 anni, quando ho spiccato il volo dal mondo in cui ero nato. All?epoca ero molto confuso e molto eccitato da quello che stava al di là del mio mondo perché mi sembrava che lì stesse la libertà, la giustizia. Per cui ho abbandonato molto coscientemente quello che ero – per quanto può essere cosciente un ragazzo – ed ho cercato dell?altro. E la ricerca si è conclusa quando ho pensato: «Quello che cercavo io l?avevo già». Vita: In che misura un musicista è anche un barometro del proprio tempo? Ferretti: Sicuramente lo è stato negli anni 60. Specie in America quando è cominciata la controcultura che si è poi estesa in tutto l?Occidente. Al momento, tuttavia, la musica è tornata ad essere un piacevole passatempo, indispensabile, ma che non ha più la capacità di raccontare il mondo che stiamo vivendo. È una merce che viene sopravvalutata rispetto al fatto che ha alle spalle. Io però non posseggo la musica. Ho sempre lavorato con musicisti che stimavo molto ed ho sempre approfittato delle loro capacità musicali. Ma io non conosco la musica. Non fa parte della mia storia. Faccio il cantore, non il cantante. Vita: Come nascono i suoi testi? Ferretti: Possono nascere da una lettura, da un gioco di parole. Ci sono canzoni che sono nate mentre viaggiavo in macchina. Non ho autoradio, non ascolto musica riprodotta e a volte mi capita di cantare e memorizzare dei pezzi. Una volta la gente era abituata a cantare camminando, viaggiando. Questa abitudine l?ho salvata. Alcune canzoni le ho scritte andando a cavallo ed hanno un ritmo che risente, in qualche modo, del passo del trotto o del galoppo. Vita: Non teme che, a volte, i suoi testi risultino incomprensibili? Ferretti: Assolutamente no! Non sono un medicinale. Non vengo consigliato dalla mutua. Siamo tutti uguali perché siamo figli di Dio. Non c?è nessun?altro motivo di uguaglianza. L?idea che si possa parlare a tutti è un po? folle. È più preoccupante essere fraintesi. Ma se uno sale su un palco deve essere disposto anche ad essere frainteso. A volte chi fraintende prende ciò di cui ha bisogno ed il resto lo aggiunge. Vita: Perché ha scritto un libro che si intitola Reduce? Ferretti: Sono reduce perché sono ritornato a casa. Questa parola, che mi piace sempre di più, con il significato che le dava mia nonna Maddalena che mi ha allevato. Nella sua vita lei mi raccontava che aveva visto solo guerre. Era nata alla fine dell?Ottocento ed è morta nel 1968. Ma da quando è nata ha sempre visto gli uomini della casa partire per le guerre. E lei non ha fatto altro che aspettare. Prima i suoi vecchi, poi suo padre, il suo fidanzato, poi suo marito, poi i suoi figli. La mia è stata una guerra dello spirito, non una guerra combattuta con le armi. Ma poi sono tornato anch?io. E mia nonna oggi è molto contenta.

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