Politica

Pakistan: elezioni presidenziali agitate

Domani il parlamento si pronuncia sul nuovo presidente pakistano in un clima di profonda crisi istituzionale

di Redazione

Di Adnkronos – Elezioni presidenziali in Pakistan domani, nel pieno di una crisi politica degenerata piu’ volte nei mesi scorsi in violenti scontri (Karachi, oltre 40 morti a marzo, il raid contro gli estremisti asserragliati nella Moschea rossa di Islamabad a luglio, con oltre cento morti). Una crisi che dalla scorsa estate e’ anche militare, con 240 soldati nelle mani dei talebani nel Waziristan del sud, e la generale ”talebanizzazione” delle zone tribali e della provincia della Frontiera Nord Ovest. A rendere la situazione ancora piu’ instabile, vi e’ anche l’intercettezza istituzionale attraversata dal Paese dallo scorso marzo, da quando Musharraf aveva provato, inutilmente, a sospendere dall’incarico il presidente della corte suprema, Iftikhar Chaudhry, l’unico elemento in grado di esercitare una funzione di controllo sui militari in un Paese dominato dalle forze armate sin dalla partizione dall’India nel 1947. Solo da poche ore, la Corte suprema ha dato il via libera al voto per l’elezione del Presidente fissato per domani domani da parte dell’Assemblea nazionale, del senato, e dei parlamenti delle quattro province del Paese (Sindh, Punjab, Baluchistan, Frontiera del Nord Ovest). Ma il vincitore di questo voto non potra’ essere proclamato prima del 17 ottobre, quando la commissione dei giudici si riunira’ per discutere del ricorso presentato dall’opposizione contro la candidatura di Musharraf in divisa.

Musharraf nei giorni scorsi ha designato il suo successore alla carica di capo di Stato maggiore delle forze armate, il generale Ashfaq Pervez Kiani, a capo dei servizi di sicurezza dell’Isi. Il mese scorso, il suo legale ha testimoniato di fronte alla Corte suprema (si trattava dell’udienza dedicata alla legittimita’ della rielezione di Musharraf da parte di un Parlamento uscente, conclusa positivamente), assicurando la rinuncia alla divisa da parte del presidente subito dopo la sua rielezione. Nessuno puo’ tuttavia dirsi certo della successione alla carica piu’ importante in un Paese in cui sono i militari l’istituzione piu’ importante. Anche una qualche forma di condivisione del potere civile e’ in discussione da mesi oramai. Fra Musharraf e la leader in esilio del Partito popolare pachistano, Benazir Bhutto, che comunque vadano i negoziati ha annunciato il suo rientro in Pakistan dall’esilio a Londra e a Dubai il 18 ottobre. Bhutto dovrebbe assumere la carica di Premier, e Musharraf rimanere presidente, senza stellette. Non tutti ritengono che questa sia una buona notizia. Sameer Lalwani, analista presso uno dei ”think tank” neoconservatori americani, la New American Foundation, assicura in un articolo firmato per la rivista Foreign Policy che di Musharraf ”sentiremo la mancanza”. ”Oggi la piu’ giovane Bhutto (piu’ giovane rispetto al padre Zulfikhar Ali, garante civile del ”peggior periodo di instabilita’ attraversato dal Paese”, ndr) e il suo successore Nawaz Sharif (alla carica di Premier alla fine degli anni ottanta, ndr) si presentano come i salvatori delle istituzioni democratiche pachistane in crisi”. Ma nei dieci anni del loro governo, ”il Pakistan e’ stato una democrazia solo nominale”. ”Ben lontani dal costruire istituzioni democratiche, i loro governi le hanno consistentemente danneggiate”, scrive l’analista.

Ashley Tellis, un altro importante analista americano, che nei mesi scorsi ha tra l’altro lavorato al fianco del sottosegretario di stato Usa per le questioni politiche per la definizione dell’accordo fra Washington e Nuova Delhi in materia di nucleare, difende come ”estremamente coraggiose” le posizioni assunte da Musharraf sia nella lotta al terrorismo, alla guerra di fatto combattuta in questi mesi dai militari pachistani lungo le regioni di frontiera contor i talebani, oltre che nei negoziati di pace con l’India, dove ha assunto una posizione totalmente diversa da quella dei suoi precedessori, consentendo l’apertura di una possibilita’ di pace. Altri ancora, il noto giornalista pachistano Ahmed Rashid in primis, denunciano invece Musharraf come uno dei principali responsabili dell’instabilita’ del Paese, insieme agli americani che lo hanno fortemente sostenuto malgrado una crescente pressione dell’opinione pubblica a ”sottrarsi dall’abbraccio mortale” del ”dittatore” di Islamabad (come il recente editoriale del New York Times). Americani, ha spiegato l’analista in una intervista all’ADNKRONOS alla vigilia del voto, che mancano di ”una qualsiasi strategia” per il Pakistan. Tutto questo mentre i cosiddetti ”talebani pachistani”, i gruppi che assicurano il via vai lungo la frontiera dei loro compagni di lotta afghani, il loro addestramento e rifornimento, stanno acquistando il controllo su porzioni di territorio sempre maggiori nelle regioni tribali. Infliggono clamorose umiliazioni, oltre che pesanti perdite, alle forze pachistane impegnate nelle operazioni per contrastarli, come il rapimento lo scorso 30 agosto di oltre 250 soldati inermi, tuttora nelle mani dei sequestratori che ne hanno proprio ieri fatti ritrovare tre sgozzati. Non e’ solo il Washington Post, citando fonti della sicurezza pachistane ma anche occidentali, a denunciare la grave situazione di crisi alla frontiera fra Pakistan e Afghanistan. Syed Saleem, giornalista di Asia Times e di Aki che dai talebani fu anche rapito per alcuni giorni, lo scorso anno, anticipa che una offensiva su larga scala potrebbe scattare ”alla fine del mese di Ramadan” (poco prima della meta’ di ottobre), quando ”decine di migliaia di uomini appena addestrati potrebbero riversarsi oltre la frontiera con l’Afghanistan”). ”Tutte le operazioni contro i talebani e i loro colleghi di al Qaeda si sono bloccate e, secondo tutti i resoconti, i militari sono impauriti”. Anche per questo, i piani dei talebani pachistani ”stanno funzionando, almeno per ora”. Comunque vada il voto di domani, sembra rimasto poco spazio all’ottimismo.


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