Welfare

Dieci persone nella stessa cella. La coabitazione “impossibile”

Giulia, una donna detenuta alla Giudecca, racconta la propria testimonianza sul tema delle convivenze forzate in carcere.

di Ornella Favero

La convivenza forzata, nelle carceri, è una pena aggiuntiva, che si somma agli anni da scontare e li rende ancora più insopportabili. Quello che spiega la testimonianza di Giulia, una donna detenuta alla Giudecca, è che spesso l?istituzione, di fronte ai conflitti e alle tensioni della convivenza in condizioni di sovraffollamento, ?sfrutta? le persone più ragionevoli scaricando loro addosso la fatica di ?assorbire? l?insofferenza e mitigare i conflitti. è quello che succede anche con le proteste iniziate a settembre: si fa conto sulla ragionevolezza, sul fatto che i detenuti in questi anni si sono ?fatti sentire? sempre in modo pacifico. Ma questa ragionevolezza, quando in cella si arriva a essere in 8-10 e ci si deve stare, in quelle condizioni, per anni, è davvero illimitata?
Ornella Favero (ornif@iol.it)

Oltre alla privazione della libertà e alle tante regole da rispettare, in carcere c?è un?altra cosa che una persona deve fare assolutamente ?per forza?: coabitare! Si è costretti a sopravvivere con persone con cui non si ha niente a che vedere, niente da condividere, niente da confrontare, e questo 24 ore su 24. La realtà dei ristretti è già di per sé difficile e lo diventa ancora di più in questa soffocante convivenza. Costrizione su costrizione. Pare non esistere possibilità diversa: oltre ai propri problemi, ai propri limiti, alle proprie frustrazioni, alla propria pena, sei costretto a sopportare forzatamente quella di altri.
Non credo ci sia un criterio utilizzato per la composizione delle celle, almeno inizialmente la cosa è casuale, e in un secondo tempo, per problemi di spazio, per come è composta la struttura, la situazione non cambia. Di fatto, in una cella di 10/11 persone, non è possibile pensare che non ci siano incompatibilità, insofferenze, conflitti. Le soluzioni cui si affida la struttura carceraria sono l?intelligenza e il grado di sopportazione che hanno, per il ?quieto vivere?, alcune detenute. Alcune che non ?sbroccano? facilmente, alcune che hanno più autocontrollo di altre, alcune che in un certo modo riescono ad apparire o essere indifferenti. Non è facile, queste ?alcune? in certi momenti devono ricorrere a tutte le loro energie per far sì che la cella non ?scoppi?. Non è un bel vivere, tutt’altro! Siamo persone e non sempre siamo disposte ad “accettare” i limiti degli altri con la comprensione, soprattutto quando gli altri non “accettano” i nostri. Questo procura un’ulteriore frustrazione, ed essendo anche noi, appunto, persone, non é proprio possibile essere senza fondo ed accumulare frustrazioni senza limiti. A causa poi della coabitazione forzata, cresce inesorabile un’altra forzatura. La socializzazione. Sei costretto a socializzare. Per sopravvivere, finisci per reprimere ogni reazione e covare una rabbia ed una insofferenza che un po’ alla volta ti distruggono.
Giulia F.

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