Volontariato

Il kamikaze ha una testa matematica

Yalla Italia con VITA 35/2007: Oltre l'11 settembre. Ci voleva un romanziere per raccontare cosa accade nella testa di un uomo che fa una selta di assoluto nichilismo in nome di Dio. Di Paolo Branca

di Redazione

Nelle cronache relative al fondamentalismo musulmano e al terrorismo di matrice islamica, spesso viene sottaciuto un aspetto rilevante del fenomeno, noto agli esperti ma quasi sconosciuto presso il grande pubblico. Teorici e militanti di questi movimenti sono spesso, se non esclusivamente, persone che hanno fatto studi di tipo tecnico-scientifico: medici, ingegneri, fisici, architetti? Da un lato essi si illudono di poter utilizzare le conoscenze e gli strumenti moderni senza fare i conti con la cultura che li ha resi possibili, dall?altro evitano il campo insidioso delle materie in cui si affronta il tema cruciale del conflitto tra differenti interpretazioni della storia. Si tratta di un aspetto sintomatico della pericolosa deriva di un?intera cultura che gestisce in modo quasi schizofrenico il proprio rapporto con la contemporaneità. Tema molto impegnativo, per le sue complesse implicazioni sul piano epistemologico. Non è dunque un caso se chi è riuscito finalmente a sollevarlo sia un romanziere, Luca Doninelli, piuttosto che un saggista. Raccontare non è detto che sia sempre più semplice che spiegare, ma se non altro consente di avvalersi di una struttura simbolica molto più variegata di quella puramente concettuale dell?analisi razionale. Il narratore, a differenza di altri, partecipa alle vicende che mette in scena e ne condivide coi lettori l?esperienza. Si cala nell?occhio del ciclone, di cui ricostruisce in forma metaforica il clima e le dinamiche fornendone, non una fotografia, ma una rappresentazione. Un filo rosso e inquietante emerge dalle pagine della Polvere di Allah, attraversate da un angosciosa domanda: com?è stato possibile che una millenaria civiltà, dotata di solidi fondamenti etici e religiosi, si sia trasformata in brodo di coltura delle peggiori efferatezze? Un?osservazione apparentemente paradossale centra il bersaglio: «Allah è un Dio matematico. Questa è la sua forza, penso tra me, ma anche la sua debolezza, quando la matematica finisce in mani sbagliate». La venuta meno dell?aspetto spirituale della fede, sacrificato ad altre finalità di più immediata realizzazione, priva ogni religione della sua caratteristica specifica, trasformandola in uno strumento di potere simile ad altri, se non addirittura peggiore di essi e in ultima analisi blasfemo, poiché pretende di imprigionare l?infinita libertà dell?Essere supremo nella statica e limitata logica di un teorema. Nessun credo può mantenere la propria carica di liberazione se non comincia col trasformare il singolo credente, aprendo in lui e di fronte a lui orizzonti di crescita e di maturazione umana. Ecco invece che «nella sottomissione l?uomo si libera del problema del quotidiano, poiché qualunque cosa accada è per volontà di Dio: vincere un miliardo di euro ed essere gettato in prigione sono, per il saggio, la stessa cosa». Una deriva nichilista che tradisce l?autentico senso religioso per asservirlo ai progetti più spregiudicati. Ma la spia della retta coscienza, fortunatamente, è ancora in grado di lanciar l?allarme, uno dei personaggi infatti «vide quello che era l?islam e quello che poteva diventare, e ne provò sgomento». Si rende conto che «una nuova razza di musulmani, una razza che si credeva antica ma non lo era stava conquistando l?islam. Uomini per i quali la vita non ha alcun senso se non per essere sacrificata istantaneamente. Uomini che dicono io sono nulla, Dio è tutto senza avere la minima coscienza di quello che vanno dicendo, senza tremare a questo pensiero ?fin dentro le fondamenta delle ossa?. Uomini per i quali il presente, il vero presente, coincide con l?istante della morte. Mentre tutto il resto deve preparare a quel momento supremo, ed è fatto perciò unicamente di prescrizioni, regole, divieti». Di fronte ad essi, un Occidente non meno in crisi, finisce per mettere a nudo tutta la sua miseria: esso «non è un metodo. La sua essenza è la rinuncia a quel metodo. è l?odio per quello che è stato, è l?odio di se stesso. Non è un insieme di valori, ma la devastazione di quei valori». Eppure, la conclusione non si riduce a registrare meramente l?incombere di un pericolo né l?ineluttabilità dello scontro. Nella postfazione è lo stesso Doninelli ad indicare una possibile, ardua, via d?uscita: «Non è vero che per superare le barriere culturali sia necessario rinunciare a una parte di sé. Bisogna, piuttosto, cominciare a fare la fatica di conoscere davvero se stessi. Ma una simile intuizione richiede poi una grande umiltà, la pazienza di un cammino interiore duro e costante». Come ogni maestro degno di questo nome, finita la lezione, Doninelli ci passa la palla. Il destino che ci attende non è già scritto, sarà invece commisurato a quanto saremo stati capaci di osare.


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