Formazione

Quanto mondo tra quei banchi

Il nuovo anno scolastico: ci saranno 70mila alunni stranieri in più. Che cosa cambierà?

di Sara De Carli

Di stranieri veri, quelli che entrano in aula senza sapere una parola di italiano, che magari arrivano a metà anno e di certo scombussolano tutta la classe, ce n?è uno ogni cento alunni. Sono infatti solo il 15% dei 580/600mila studenti con cittadinanza non italiana attesi per l?anno scolastico che sta per cominciare, gli altri a scuola ci arrivano che l?Italia l?hanno già incontrata e vissuta. La metà di questi, poi, è nata qui e pertanto è straniera solo (o quasi) sul passaporto: alle elementari sono ancora di più, il 65%. I loro genitori, poi, hanno un?istruzione medio-alta, con aspettative enormi rispetto al percorso scolastico dei figli: addirittura spesso questo è il motivo per cui sono venuti in Italia. I dati statistici, però, tutto questo non lo dicono. Parlano invece di un aumento medio di 70mila alunni stranieri all?anno, di un?ondata che cresce a due cifre (+15/17% l?anno): e così la presenza degli alunni stranieri ha l?aspetto di un?invasione. Quest?anno invece il ministero della Pubblica Istruzione ha scavato dentro i dati relativi all?anno scolastico 2006/07: per la prima volta li renderà noti in maniera disaggregata, e non mancheranno le sorprese. Per il momento circola qualche dato parziale: 94mila alunni con cittadinanza non italiana nelle scuole dell?infanzia, 191mila nella primaria, 113mila alla secondaria di primo grado e 102mila alla secondaria di secondo grado (+38% rispetto all?anno precedente), per un totale che sfiora le 502mila presenze. Ad avere alunni stranieri sono il 64% delle scuole, con due caratteristiche tutte italiane: la pluralità delle provenienze (sono rappresentate sui banchi d?Italia 191 nazionalità su 194, con un autentico boom della Romania) e la disomogeneità della concentrazione. L?Emilia Romagna è la regione con l?incidenza maggiore di alunni non italiani (vicina al 10%), mentre il Sud sta vicino allo zero. Le province in testa alla classifica sono Mantova, Piacenza e Reggio Emilia: tutte tra l?11 e il 12%, mentre la media italiana è intorno al 6%. Le concentrazioni più alte però non stanno in città, ma nei piccoli comuni: nel 2005/06 erano Calcinato (Brescia) con il 25,2%, Novellara (Reggio Emilia) con il 21,9% e Martinsicuro (Teramo) con il 21,2%. Pedagogia del cous cous, addio Niente allarmismo dunque, ma la presa d?atto che l?immigrazione è un fenomeno strutturale. «La scuola italiana ha scelto da sempre la via dell?integrazione delle diversità, in tutti i sensi. Per gli alunni con cittadinanza non italiana ha scelto la scuola comune e da qui non si torna indietro», dice Letizia De Torre, sottosegretario del ministero della Pubblica Istruzione con delega all?immigrazione. «Ci sono moltissime buone pratiche, ma oggi non bastano più: servono indicazioni chiare a livello nazionale, una formazione specifica per i dirigenti, un intervento mirato per i neoarrivati». Sono le novità che il ministero ha messo in campo per quest?anno: corsi per i cento dirigenti delle scuole con più del 30% di alunni stranieri («Sono loro che possono evitare le scuole-ghetto e garantire una distribuzione omogenea degli alunni stranieri, attraverso le reti di scuole e i patti territoriali», spiega la De Torre), un bando in arrivo di un milione di euro, insieme alla Solidarietà sociale, che finanzierà percorsi di prima alfabetizzazione a cura del privato sociale e, infine, un documento per i docenti, non ancora presentato, che si intitola significativamente La via italiana per la scuola interculturale e l?integrazione degli alunni stranieri. Il documento, preparato dall?Osservatorio nazionale per l?integrazione degli alunni stranieri e l?educazione interculturale, dovrebbe cancellare dalla scuola l?improvvisazione e il fai-da-te, il fatto che alunni stranieri e intercultura siano lasciati agli insegnanti di buona volontà, il rischio di ciò che una delle autrici, Graziella Favaro, chiama «la pedagogia del cous cous». «Il punto di partenza scelto dalla scuola italiana è quello di tenere insieme integrazione e intercultura: il tema non va affrontato come il problema di integrare gli alunni stranieri, ma come la sfida di educare un cittadino planetario. Una cosa che dovremmo fare comunque, anche se nelle nostre aule non ci fosse nessun bambino straniero. L?intercultura a volte è stata intesa in modo folcloristico, oppure presentando le altre culture come blocchi monolitici, cosa che finisce per costruire una prigione identitaria attorno al bambino straniero. Con questo documento abbiamo cercato di spiegare come approcciarsi alle altre culture in modo dinamico, relazionale, mettendo al centro la persona del bambino». In questa direzione andrà anche la revisione dei curricula scolastici, a cui il mondo della scuola e delle ong lavorerà durante questo anno. «Alle paure dei genitori si risponde solo aumentando la qualità della scuola», spiega la Favaro. «Perché le scuole internazionali sono considerate d?élite e invece in quelle statali facciamo l?equazione ?molti stranieri uguale bassa qualità?? Queste indicazioni sono un primo passo, ma da esponente della società civile dico che servono anche più risorse». Su questo però il ministero è un po? restìo: per la De Torre si tratta di scuola, non di un?emergenza speciale, e «la scuola ha già le sue risorse. Certo c?è la legge 440 che prevede fondi ad hoc per le aree a forte immigrazione, ma le scuole devono anche migliorare la loro interlocuzione con il territorio e il privato sociale, come avviene in Lombardia». Dove la Fondazione Cariplo finanzia i progetti di 30 scuole, per 1,2 milioni di euro.


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