Famiglia

In tour con Deborah, amica delle lucciole. Se spunta un fiore sul marciapiede

Sulla Statale che collega Rho a Milano ogni giorno 40 immigrate si vendono: sono nigeriane e albanesi. Tutte hanno per amica una volontaria dell’associazione Lule.

di Stefano Arduini

Un bicchiere di tè caldo e una brioche confezionata sono la merenda che oggi Deborah offrirà alle sue amiche. Niente tavolini o banconi cui appoggiarsi però, ma solo un marciapiede di un?anonima statale, con vista sui vialoni, i campi incolti e le fabbriche dei comuni di Rho, Bollate e del quartiere milanese Figino. Strade dove sfrecciano di continuo tir provenienti da tutta Europa e automobilisti in cerca di avventure. Due volte la settimana da queste parti passa una sconquassata Uno bianca, avrà almeno dieci anni. Al volante c?è Deborah Travagin, 25 anni, occhi e capelli neri, stazza minuta e una laurea in Scienze dell?educazione. Da due anni lavora per un?associazione di Abbiategrasso che si occupa del recupero delle prostitute, la Lule. Che in albanese significa «fiore», ma questo è l?ultimo posto al mondo dove ti aspetteresti di incontrarne uno. «E invece io qualche volta ne vedo sbocciare», interviene Deborah «ma sono di carne e ossa». Quelle della sue amiche: lucciole che si vendono ai bordi delle strade. Le nigeriane Oggi è giovedì, giorno quindi di visite e merende in compagnia. Questa volta a bordo della Uno ci siamo anche noi. «Vi presenterò come volontari», annuncia. «Conoscerete nome per nome, volto per volto 40 amiche: 30 sono nigeriane, 10 albanesi». Deborah ci rivolge un cenno di assenso e gira la chiave d?accensione. L?auto per un attimo singhiozza, poi si mette in moto. Partiamo. «La zona industriale di Rho è territorio delle nigeriane. Ogni mattina verso le 9,30-10 le ragazze scendono dai treni provenienti da Torino e Genova, poi ognuna si dirige sul posto di lavoro». Posto di lavoro? Un termine curioso per descrivere angoli di cemento ricoperti da immondizia. «No, no! è proprio la parola giusta», sbotta. «Sono veri sportelli del sesso, che le ragazze pagano alle loro sfruttatrici oltre 600 euro e che sono disposte a difendere con le unghie. Negrette e bianche spesso arrivano anche a prendersi a pugni». Le prime ragazze sulla nostra strada sono Linda e due sue colleghe. Tremano dal freddo. «Le nigeriane sono sempre mezze nude», sottolinea Deborah. Mutande e reggiseno sono sufficienti: la mercanzia va esposta. Rimedi alla stanchezza e alla temperatura sono uno sgabello e un falò. Dove c?è una nigeriana ci sono sempre sgabello e falò, tenuto in vita da fogli di giornale e brandelli di plastica che bruciando rilasciano odori di fabbrica. Deborah lascia l?auto in curva senza curarsi degli improperi degli altri automobilisti. Fa due passi di corsa verso Linda: ha una buona notizia da darle. «Il test ginecologico», spiega, «è andato bene». Ma non è sempre così. Adesso vi porto da Sofia, due settimane fa ha saputo di essere sieropositiva. Da allora si rifiuta di mettere piede in un ospedale. In Nigeria se hai l?Hiv ti sbattono nei cronicari fino a quando crepi». La guida di Deborah è disattenta, invece di guardare la carreggiata, i suoi occhi puntano al ciglio della strada in cerca di Sofia. Quasi tocchiamo il marciapiede, lei non se ne cura e tira dritto. Passiamo sotto il ponte della ferrovia di Rho. La strada fa una curva verso sinistra. Passa un ciclista. Deborah lo schiva per miracolo. «Eccola», dice e inchioda. Scende e noi dietro di lei. Due passi di corsa verso Sofia. L?abbraccia: «Come sta il tuo bambino?», le sussurra. Sofia accenna a un sorriso, risponde a monosillabi, conosce poco l?italiano e non ha molta voglia di parlare. Deborah insiste. Un po? in inglese, un po? in italiano le raccomanda i controlli medici. Le due donne si abbracciano di nuovo. Poi ripartiamo. «Ma dicci», le chiediamo, «ogni tanto riesci a togliere dalla strada qualche ragazza?». «L?obiettivo è quello. Ma quando non è possibile, anche assicurarle un?esistenza dignitosa è un successo», risponde. Poi spiega come funziona la vicenda: per le nigeriane il marciapiede è un?occupazione a tempo. «Dura fino a quando non estinguono il debito con le loro maman, mezze protettrici, mezze streghe che non disdegnano i riti voodo per plagiarle», racconta l?educatrice. La cifra da rendere (per coprire le spese del viaggio da Lagos a Milano) è di circa 60mila euro. «Ci vogliono cinque o sei anni anni per riconquistarsi la libertà», nel frattempo è Deborah a pensare alla loro salute, ad alleviare il loro appettito, a informarle sui metodi di contraccezione e sui modi di trasmissione dell?Aids. Un compito improbo, ma ogni tanto il fiore della Lule sboccia anche nel cemento. Deborah, per esempio, riesce spesso a convincere una delle tante Linda o Sofia a studiare l?italiano nella scuola che l?associazione gestisce nelle aule di un asilo nido a due passi dalla stazione di Rho. «Un?ora la settimana, il martedì dalle 18,30 alle 19,30», spiega felice. «La scuola è il primo gradino del percorso di protezione sociale immaginato dalla Lule. Che prevede la denuncia dello sfruttatore, l?ottenimento del permesso di soggiorno e un anno di permanenza nel centro di accoglienza ad Abbiategrasso». Il confine Deborah parla e intanto ci sfila davanti agli occhi il cartello che indica Milano. Siamo nel quartiere Figino. Il panorama è il solito: vialoni, macchine e sporcizia. Sullo sfondo ancora fabbriche. Sembra non sia cambiato niente, invece è cambiato tutto. Cinquanta metri dietro c?è Patience, 18 anni, nigeriana, appena arrivata in Italia e sfruttata dalla cugina: 20 euro a prestazione. Davanti invece appaiono due piccole fatine colorate. Sono bianche, «albanesi», conferma Deborah. Qui la tariffa lievita a 25 euro. Le albanesi Le due fatine sono riscaldate dai loro cappotti, non hanno bisogno del falò. «Angela e Mira sono sorelle, hanno 40 anni e si prostituiscono solo mezza giornata. L?altra metà la passano a fare le pulizie per una cooperativa», spiega Deborah. Come molte albanesi hanno il permesso di soggiorno. Un sogno per le colleghe africane. «Oggi è un giorno speciale per Angela. Dopodomani sua figlia, 21 anni ex prostituta e analfabeta, si sposa con un italiano». È in arrivo anche per lei il permesso di soggiorno. Angela e Deborah si assomigliano, sembrano madre e figlia. Sentendole conversare, però, con Deborah che dà consigli e cerca soluzioni e Angela che snocciola uno dopo l?altro i suoi problemi, ti viene da pensare che la madre è quella di 25 anni e la figlia quella di 40. Nigeriane e albanesi. Le due facce del marciapiede non hanno solo prezzi e volti diversi. Cambiano anche gli argomenti di discussione. Sul lato albanese non si parla di debiti, riti magici o maman, ma di figli da mantenere e affitti da pagare. «Prendete il caso di Anna», dice Deborah, «cinque figli a Tirana e un affitto da capogiro, 620 euro al mese in nero, per pagare un buco in periferia a Milano». Ed eccola Anna, capelli neri, trucco esagerato e una parlantina irrefrenabile: «Il mio padrone di casa me lo dice sempre: o vuoi pagare, e mi porti i soldi o non vuoi pagare e mi porti le chiavi, semplice». Semplicissimo. Le chiediamo se accetterebbe di fare l?operaia invece di vendere il suo corpo. «Mai», risponde, quasi aggressiva, «Per sopravvivere ho bisogno di almeno 1500 euro, in fabbrica te ne danno la metà. Ci pensi tu ai miei bambini e al mio affitto?». Ancora in auto. Domandiamo a Deborah se a volte non si senta sopraffatta da un senso di sconfitta.«Perché mai? Qualche mese fa siamo riusciti a strappare alla strada una giovanissima prostituta. Ormai non ce la faceva più, per due volte aveva tentato il suicidio. Adesso lavora in un bar come cameriera». Per una volta sarà Deborah a farsi offrire tè caldo e brioche. Info: 5 Associazioni Lule: è un?iniziativa nata nel 1996 ad Abbiategrasso (Mi). Da allora 60 volontari e 12 professionisti gestiscono un programma articolato di reinserimento sociale. Info: tel. 02.94965244 Caritas, progetto tratta: 500 volontari diocesani impegnati dal 1995 su tutto il territorio nazionale; centinaia le donne tolte dalla strada. Info: Caritas Italiana Papa giovanni XXIII: dal 1991 l?associazione riminese è impegnata nella lotta contro il racket delle schiave di strada. In questi anni oltre 1.800 ragazze state liberate. Info: Associazione Papa Giovanni XXIII tel. 348.2488130 Mimosa: dal 1995 si occupa del recupero delle prostitute che si vendono a Padova e provincia. Info: tel. 338.6623275 Amici di Lazzaro: attiva dal 1997, questa realtà assiste le prostitute della folta comunità nigeriana di Torino, cercando di fornire loro un?alternativa alla strada. Info: tel. 011.5816611 Le associazioni bocciano senza appello la proposta del governo «La riforma della Merlin? Nasconde un dramma» Vergognosa, inconcludente e ingenua». Non risparmiano i complimenti le associazioni che si occupano di reinserimento delle prostitute: la riforma della legge Merlin proposta da Bossi, Fini e Prestigiacomo è da cestinare. Don Giancarlo Perego, responsabile del progetto ?Tratta? della Caritas, a caldo affonda i tre fendenti («se vuole un commento sull?idea del governo le rispondo subito: vergognosa, inconcludente e ingenua»). Poi spiega: «sul piano sociale è vergognosa perché lo sfruttamento proseguirà e non si fa cenno a progetti di cooperazione con i Paesi di origine. Sul piano culturale è inconcludente: non un riga per l?educazione sessuale. Un progetto ingenuo, infine, sul piano politico: non risolve il problema, lo sposta». Sul chiodo dell?inutilità della riforma batte anche Stefano Montorfano, coordinatore della Lule di Abbiategrasso (Mi): «Spostano la questione dal marciapiede al pianerottolo. Tutto qui. Così invece delle lamentele dei passanti, faremo i conti con quelle dei condòmini. Un?ipocrisia colossale». Paolo Botti, presidente dell?associazione Amici di Lazzaro, di Torino, parla di ratto: «Diciamocela tutta: le case chiuse esistono già. Questa legge ne farà aprire di nuove, con l?unico risultato che per chi fa attività di strada sarà molto più difficile venire a contatto con le ragazze. Ce le vogliono portare via». L?obbligatorietà di controlli medici mensili è uno dei capisaldi del testo. «Dietro la cortina di fumo della propaganda», attacca Montorfano, «c?è un equivoco madornale. Il virus dell?Hiv si manifesta solo dopo 45 giorni. Questo significa che una donna che ha contratto la malattia potrebbe prostituirsi altre tot volte prima di fare il test. In questo modo trasferirebbe il virus. Legalmente». Su questo fronte si scatena anche Giampiero Cofano, braccio destro di don Oreste Benzi nell?associazione Papa Giovanni XXIII: «La verità è che lo Stato dovrebbe risarcire le ragazze che si ammalano di Aids. Sono i clienti a contagiarle!». Il fronte delle associazioni, però, si presenta spaccato sulla punibilità dei clienti stradali. Cofano parla di «svolta positiva». «Del tutto contrari» si dicono invece Paolo Guiotto, presidente dell?associazione Mimosa di Padova («il problema è governare l?immigrazione, non criminalizzare i clienti, che spesso vivono situazioni di profondo disagio»), ma soprattutto Botti: «L?unica via è mirare all?educazione sessuale». Levata di scudi concorde, infine, a difesa della legge Merlin. «Una buona norma», chiude Montorfano. Le altre associazioni sottoscrivono.


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