Famiglia
A Venezia la Biennale è diventata nera
Tanta Africa nella 52° edizione. Un intervento del vignettista rivelazione, di Eyoum Ngangué
di Redazione
Un disegnatore ivoriano, Faustin Titi, e un giornalista camerunese, chi scrive. Due percorsi di vita cominciati in luoghi diversi, articolatisi in maniera molto differente, ma accomunati da uno stesso destino. Una sorte amara, prima, quella di esiliati politici. E un?occasione di riscatto, poi, quella nata da una passione comune che è diventata un inaspettato successo: il fumetto. Che quest?anno è addirittura approdato alla Biennale di Venezia. Una sorpresa e un grande onore. Le tavole del nostro fumetto, Un?eternità a Tangeri, storia di immigrazione e di denuncia, esposte insieme alle maggiori opere d?arte contemporanea e agli artisti più quotati al mondo alla Biennale di Venezia! Chi l?avrebbe mai immaginato?
Le nostre storie partono da lontano. Faustin, nato in Costa d?Avorio nel 1973, si è formato alla scuola di Belle Arti di Abengourou, nell?est del Paese. Al termine dei suoi studi, ha lavorato nella pubblicità e nella stampa, prima di essere obbligato a lasciare il suo Paese.
Quanto a me, vengo da una lunga collaborazione con il giornale Il Messager di Douala, di cui ero caporedattore aggiunto, nonché coordinatore della redazione del giornale illustrato Le Messager Popoli. E proprio a causa di un articolo pubblicato su quest?ultimo, sono stato condannato a un anno di carcere. Di qui, la scelta dolorosa di chiedere asilo politico in Francia. È a Parigi che comincia la collaborazione con Faustin. Titi illustra i miei articoli per il periodico Le Courrier ACP-UE, che ha sede a Bruxelles. Dopodiché, nel 1999 cominciamo a lavorare insieme su alcuni progetti di fumetto.
I complimenti di Storr
Che le nostre 46 tavole siano esposte alle Corderie dell?Arsenale rappresenta un riconoscimento internazionale insperato per il nostro lavoro. Ci abbiamo messo poco più di un anno per realizzarlo. È stato complesso, faticoso, anche perché portato avanti in mezzo ai tanti problemi che comporta, anche sulla nostra pelle, la vita dell?emigrato. E dunque oggi siamo molto fieri di vedere i nostri sforzi ricompensati all?interno di una mostra così prestigiosa di arte contemporanea, nel cuore della selezione internazionale di un evento così eccezionale.
Lo stesso Robert Storr si è personalmente complimentato con noi in occasione del vernissage.Ma questa attenzione all?arte africana va ben oltre la nostra opera. Siamo stati, infatti, molto positivamente impressionati dal fatto che, per la prima volta, la Biennale si dotasse di un padiglione esclusivamente consacrato alla produzione artistica del nostro continente. Le opere fanno parte della collezione privata della Fondazione Sindika Dokolo, dell?omonimo collezionista congolese. È la prova che l?universalità dell?arte tocca pure l?Africa. Come conferma anche l?assegnazione del Leone d?Oro a un fotografo maliano, Malick Sidibé, i cui ritratti erano esposti proprio di fronte alle nostre tavole.
Certo, essere esposti alla Biennale rappresenta un sogno e un compimento per un artista. Migliaia di visitatori potranno vedere la nostra opera, oltre a collezionisti, curatori di mostre, proprietari di gallerie, amatori d?arte e giornalisti di tutto il mondo. Questo ci ha già procurato molti contatti interessanti. Innanzitutto, per la traduzione del fumetto in altre lingue (esiste già in italiano, francese e svedese).
Arrivano i collezionisti
Alcuni collezionisti hanno già chiesto di acquisire le nostre tavole, e abbiamo ricevuto la proposta di realizzare un romanzo illustrato. Ma al di là di tutto, ciò che ci interessa è che su un problema così scottante e dibattuto come quello dell?immigrazione venga conosciuto anche il nostro punto di vista. Che è quello di due africani che hanno vissuto, in prima persona, il dolore e la fatica di lasciare il proprio Paese, la propria famiglia, tutte le cose più care, per ricostruirsi una vita in un?altra parte del mondo.
In fondo, Gawa, il protagonista del fumetto, assomiglia un po? anche a noi. È un giovane originario di Gnasville, un luogo immaginario e simbolico di tutte le metropoli d?Africa. Gawa lascia il proprio Paese e comincia un lungo periplo. A piedi, a cavallo, in auto, attraverso i controlli di polizia, supera il deserto e molte peripezie prima di raggiungere Tangeri. In questa città, alle porte della fortezza-Europa, attende un?improbabile partenza. Intanto, si ritrova a fare i conti con le difficoltà di sopravvivere in un posto nuovo ed estraneo, aggrappandosi al sogno di una vita altrove. E condividendo le condizioni di vita inumane di tanti come lui, ricattati dai passatori e dalle mafie, che costringono le ragazze a prostituirsi e taglieggiano i «candidati» al viaggio.
È una storia come tante, quella di Gawa. È quella che abbiamo voluto raccontare, perché fosse una storia-simbolo di tante altre vicende drammatiche come la sua.
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