Cultura

Testamento biologico. La terapia migliore?

Welby, prosciolto il medico Riccio. "Aveva il dovere di assecondare il malato". E sulla decisione la politica si schiera. VITA ha intervistato Carlo Casalone, gesuita, sul testamento biologico

di Sara De Carli

Testamento biologico. Per una <i>Civiltà Cattolica</i> che chiama in piazza contro il ?suicidio assistito? previsto dal ddl Marino, un’altra rivista dei Gesuiti, <i>Aggiornamenti sociali</i>, in un articolo sul caso Welby ha assegnato invece il primato della decisione alla ?coscienza personale? del malato, ammettendo la possibilità che in casi simili si possa decidere diversamente. La stessa vicenda Welby – da lui portata avanti con l’intenzione di fare pressione in favore dell’eutanasia – poteva essere considerata come semplice sospensione di terapie sproporzionate, dice l’articolo: già Pio XII, nel 1957, diceva che il respiratore artificiale si può staccare. Ma se le cose stanno così, definire per legge cosa sia eutanasia e cosa accanimento terapeutico è pressoché impossibile. Padre Carlo Casalone è uno degli autori di quel testo. <b>Vita:</b> La Chiesa parla di primato della coscienza personale nel valutare la proporzionalità delle cure: perché allora alcuni ambienti cattolici escludono la possibilità di rinunciare a idratazione e nutrizione? <b>Carlo Casalone:</b> Su alimentazione e idratazione artificiale è in corso un ampio dibattito, anche all’interno della Chiesa, senza che ci sia una posizione compiutamente condivisa. La prudenza è importante quando si legifera su situazioni al limite della vita. La Chiesa parla di epikeia, cioè la virtù che consente di esercitare un giudizio di coscienza appropriato nei casi particolari, a cui la legge non può arrivare a causa della sua strutturale generalità. Ma è evidente che la situazione si complica quando il paziente è privo di coscienza, che è il punto delle dichiarazioni anticipate di trattamento. <b>Vita:</b> Come giudica il modo in cui è impostato il tema? <b>Casalone:</b> Gli obiettivi sono positivi: riappropriarsi di una responsabilità decisionale che spesso la medicina comprime, dare un’occasione per riflettere sui momenti conclusivi della propria vita, dare un aiuto a chi dovrà prendere le decisioni. Ma non mancano le ombre. <b>Vita:</b> Quali? <b>Casalone:</b> Anzitutto il pronunciarsi in modo astratto e a freddo, non attuale, su una situazione difficile da comprendere per non esperti. Alcuni formulari utilizzano termini ambigui, come incompetenza decisionale temporanea, qualità di vita sufficiente, impedimenti a una normale vita di relazione. Si rischia poi di dare un’enfasi eccessiva all’autonomia decisionale dell’individuo e di vedere la relazione tra medico e paziente più come contratto che come alleanza, sottovalutando l’impegno comune alla ricerca del bene e le altre relazioni interpersonali e comunitarie. Infine, le direttive anticipate a volte possono facilitare l’eutanasia, forzando la valutazione dell’accanimento terapeutico e favorendo un disimpegno sul fronte della medicina palliativa. Pertanto mi sembra opportuno che le dichiarazioni anticipate rimangano non vincolanti per il medico e prive di valore legale. <b>[..]</b>

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