Non profit
Vorremmo unItalia stile Coldiretti
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l ministro De Castro per convocare la Conferenza nazionale dell?agricoltura del 19 luglio ha usato un?immagine rivelatrice: si vedono dei contadini in giacca e cravatta che lavorando il terreno vi hanno fatto crescere dei palazzi metropolitani. Un?immagine esattamente opposta è quella che si è vista mercoledì 11 luglio in piazza VIII Agosto a Bologna. Lì la Coldiretti aveva convocato oltre centomila suoi iscritti per protestare contro l?immobilismo del governo nel difendere e sostenere il modello agricolo italiano. La piazza era un mare di berretti e bandiere gialle, che esprimevano sì rabbia ma anche e soprattutto orgoglio. Da una parte c?è l?idea fuori dalla storia di un?agricoltura ancora di stampo fordista. Dall?altra c?è un?agricoltura che attinge e valorizza l?unica vera miniera di cui disponiamo: il territorio («il valore aggiunto del nostro Paese», lo ha definito il presidente della Coldiretti, Sergio Marini).
La manifestazione della Coldiretti è stato un successo che ha preso in contropiede tutti. E scavare nei motivi di questo successo è operazione utile per capire lo stato di salute dell?Italia 2007. Innanzitutto erano trasparenti e difficilmente contestabili i motivi della mobilitazione: l?agricoltura italiana, lasciata senza difese dalla politica, è sottoposta a un assedio globale che rischia di metterla in ginocchio. I numeri parlano chiaro: nel 2007 sono aumentate del 10,4% le importazioni di frutta estera, mentre per il venir meno degli obblighi sulle etichettature, ormai i due terzi dei prosciutti venduti in Italia provengono da maiali non italiani, senza nessuna informazione per i consumatori.
Ma c?è ben di più di un interesse di categoria in gioco. C?è una visione dello sviluppo, di un?economia capace di valorizzare le risorse e di creare ricchezza secondo un modello sostenibile. In questo senso i 100mila in piazza a Bologna sono davvero dei grandi innovatori. Sono piccoli imprenditori che hanno avuto l?intelligenza di sottrarsi alle vecchie logiche e hanno intuito l?efficacia di investire sul territorio e sulla qualità. E di tessere un?alleanza con i consumatori sempre più consapevoli.
Se hanno potuto fare un percorso simile è stato perché alle loro spalle hanno avuto una rappresentanza che ha saputo anche lei rinnovarsi e rompere con il passato. E questa è l?altra interessante notizia che emerge dalla giornata di Bologna. Mentre in Italia quasi tutte le rappresentanze, non solo politiche, si chiudono a riccio in un conservatorismo senza futuro, ce n?è anche qualcuna che ha affrontato con coraggio il mare aperto del cambiamento. La Coldiretti è certamente tra queste. Lo testimoniano i numeri, le dinamiche, la capacità di visione. è un?organizzazione di massa (con 1,7 milioni di iscritti), in cui hanno trovato grande spazio i giovani e le donne, che ha un presidente di poco più di 50 anni, capace di parlare con franchezza e di non cercare protezioni nei vecchi collateralismi. E capace di accusare il ministro titolare di un governo di centrosinistra di essere subordinato «alle logiche della grande industria agroalimentare».
Ovviamente l?uscire allo scoperto di un soggetto vivo e forte come la Coldiretti ha seminato il panico nelle vecchie rappresentanze, che siano quelle collateraliste della Cia (la confederazione tradizionalmente vicina ai Ds), o siano quelle piccole e un po? servili dell?ambientalismo integralista. In realtà nel conflitto si giocano passato contro futuro. Vecchie lobby contro nuovi soggetti imprenditoriali e sociali. Grandi interessi contro interessi larghi e diffusi. L?Italia deve scegliere da che parte stare.
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