Famiglia

Samina, la femminista: «Il corano sta con noi»

E' nata in India, ma oggi vive in California, dove ha fondato un movimento per i diritti delle donne nella comunità islamica. Si professa fedele alla sua religione.

di Sara De Carli

Non è Ayaan Hirsi Ali, la scrittrice che ha firmato la sceneggiatura di Submission, il film che è costato la vita a Theo van Gogh, ma poco ci manca. Anche Samina Ali è una scrittrice controversa, per i suoi libri e per le sue scelte di vita. Nata in India, a Hyderabad, e trasferitasi in California nel 1971, Samina è diventata famosa per Madras on rainy days, un libro, non tradotto in Italia, in cui l?autrice, raccontando la storia di Layla, racconta di sé. Un matrimonio combinato, il marito che si rivela gay, il divorzio, un secondo matrimonio e un secondo divorzio? tutto vero, tutto capitato a lei. Oggi Samina è una delle guide del nascente movimento femminista islamico: un movimento poco conosciuto e poco pubblicizzato, che però dagli States si sta facendo strada in tutto il mondo.

Vita: Esiste davvero un movimento femminista islamico?
Samina Ali: Siamo appena agli inizi. Non è facile, dopo che a New York abbiamo organizzato una preghiera guidata da donne abbiamo ricevuto minacce di morte: per questo lavoriamo senza fare tanta pubblicità. Partiamo da un fatto: in assenza di leader adeguatamente formati, nelle moschee la religione si è ridotta a rigida aderenza al rituale. Il rituale però è diverso da una moschea all?altra, perché riflette le diverse culture delle varie comunità di immigrati: musulmani dell?India e del Pakistan, musulmani dell?Iran, musulmani dell?Uganda ecc. Per esempio nel mio libro, Layla non sa che secondo l?Islam la donna ha il diritto di rifiutare il matrimonio con un uomo che non vuole sposare, né che ha il diritto di divorziare se il matrimonio non è stato consumato. Sono solo due esempi per dire che spesso la gente non è in grado di distinguere l?Islam come religione dall?Islam che è praticato (o meglio mal praticato) dalla propria comunità. Il risultato di questa sovrapposizione scorretta è che la donna soffre e si vede privata dei diritti che Dio le ha dato. Nel mondo moltissime donne islamiche sono private dei loro diritti e della loro libertà, del possesso stesso del loro corpo: è tempo che le donne si facciano motori di cambiamento, di un femminismo nuovo.

Vita: Qual è il vostro obiettivo?
Ali: Il femminismo musulmano vuole insegnare alle nuove generazioni di donne quali sono i diritti che Dio ha dato loro, per renderle più forti nel reclamare ed esercitare questi diritti. Quel che è peggio infatti è che la donna spesso neanche sospetta di avere dei diritti? L?obiettivo del movimento femminista è quello di tornate a un Islam più puro, basato sugli insegnamenti del Profeta, non sui riti: una parte del femminismo occidentale si è ispirata agli insegnamenti della Chiesa, le femministe musulmane possono fare lo stesso con il Corano. Il movimento non vuole portare l?Islam verso nuovi lidi, ma tornare alle origini.

Vita: Chi è per lei la donna musulmana ?emancipata??
Ali: Negli Stati Uniti c?è l?idea che una donna islamica emancipata è quella che scrive un libro in cui denuncia quanto terribile, intollerante e maschilista sia l?Islam. Queste autrici di solito hanno una pessima esperienza personale e per questo accusano tutto l?Islam, cadendo nello stesso luogo comune di chi ci guarda dall?esterno e crede che l?Islam sia un blocco monolitico. Queste donne trovano ampio spazio, è come se i media dicessero: «Abbiamo sempre detto che l?Islam è maschilista e intollerante: vedete? ora c?è una musulmana che lo dice». Siamo in questa triste situazione: i media mettono sotto i riflettori donne che alimentano gli stereotipi, mentre ignorano le azioni di chi tenta di provocare un cambiamento dentro la comunità.

Vita: Lo dice per esperienza personale?
Ali: Dopo l?uscita del libro ho faticato a farmi ascoltare. Da un lato dopo l?11 settembre non c?era spazio per i musulmani sui media; dall?altro, all?interno della comunità molti guardavano la mia foto, vedevano che non porto il velo e dicevano: «Ma cosa ha questa da dirci? Non ha neanche il velo, non è una vera musulmana!». Hanno messo in giro voci, attaccato la mia reputazione: questo è il modo in cui la parte più conservatrice della comunità mette a tacere chi ha idee diverse. Oggi mi sono conquistata il mio posto, e continuo a ripetere che la donna musulmana veramente emancipata è quella istruita, in tutti i campi: la scuola, gli studi, la fede. Una donna che conosce il Corano abbastanza da comprendere i suoi diritti e saperli esercitare. Un versetto del Corano dice che abbiamo il dovere di fare ciò che è giusto, senza paura delle critiche: il movimento femminista in America sta facendo questo, senza paura delle critiche che vengono dalla comunità musulmana, che vorrebbe mantenere la vecchia patriarcale struttura del potere, né quelle che vengono dai media occidentali, che insistono a ripetere demagogicamente falsi stereotipi sull?Islam.


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