Non profit

Retroguardia sindacale

Il mondo del lavoro è ostaggio di troppi dogmi: il contratto nazionale, l’italianità delle aziende, la difesa dei diritti dei più garantiti

di Sara De Carli

I nullafacenti li ha già messi in croce in un libro, l?anno scorso. Ora, dopo l?uscita di Montezemolo sui sindacati «difensori dei fannulloni», Pietro Ichino ha ribadito che se è compito del sindacato difendere i più deboli, è suo dovere anche riconoscere e difendere «l?interesse della parte più forte e più produttiva» dei lavoratori. E non ditegli che è un fautore della ?selezione naturale?, che non si cura di chi resta indietro, perché per lui la grande sfida del nuovo secolo è proprio la forbice crescente tra i lavoratori: cita don Milani, che la sua famiglia ha conosciuto bene, e dice che per sanare le disuguaglianze l?azione concreta vale mille volte più di una bella legge garantista. Il fatto è che per Ichino la parte più forte dei lavoratori sarà la protagonista di una nuova e imminente rivoluzione, che noi ancora non immaginiamo: quella che farà dei lavoratori dei soggetti sempre più attivi. Tanto attivi che domani saranno loro a scegliere, assumere e scaricare il proprio imprenditore.

Vita: Il lavoro è cambiato, ce ne siamo accorti tutti. Ma dove sta andando?
Ichino: Si parla molto della scomparsa del ?luogo? di lavoro, di un rigido nesso spazio-temporale della prestazione lavorativa rispetto all?organizzazione aziendale; ma in realtà questo avviene ancora in casi relativamente rari. È giusto studiare questo fenomeno, perché si sta diffondendo; ma è sbagliato attribuirgli un peso maggiore di quello che ha. Contemporaneamente il modello tradizionale sta cambiando anche in altri modi, altrettanto importanti se non ancora di più.

Vita: Quali?
Ichino: Uno dei cambiamenti più importanti, che stentiamo ancora a comprendere, riguarda la parte più dotata della forza lavoro: nel tessuto produttivo maturo si allarga la possibilità per i lavoratori più capaci di scegliere non solo il proprio lavoro, ma anche il proprio imprenditore. Anzi, persino di sostituirlo. E più l?imprenditore è sostituibile, più forti sono i lavoratori sul piano contrattuale e migliori sono le condizioni che possono spuntare.

Vita: I lavoratori scelgono l?imprenditore?
Ichino: Sul piano individuale non è una novità: le politiche della Ue, che promuovono l?employability, tendono a questo, consentire al lavoratore – anche a quello meno professionalizzato di scegliere l?imprenditore che lo tratta meglio, che valorizza di più il suo lavoro. Ma in molti casi lo stesso discorso si può fare sul piano collettivo: ci sono molte situazioni in cui è il gruppo organizzato di lavoratori che sceglie l?imprenditore, o concorre a determinarne la scelta. È il lato buono della globalizzazione: essa oggi consente ai lavoratori delle regioni meno sviluppate (e il discorso riguarda anche noi) di cercare in tutto il mondo un imprenditore interessato a valorizzare il loro lavoro. Certo, per negoziare questo ?ingaggio? del buon imprenditore occorre avere autorità pubbliche e sindacati capaci di sfruttare a proprio vantaggio questo aspetto positivo dell?aumento della mobilità dei capitali e dei progetti industriali: in Italia questa capacità l?abbiamo meno di altri.

Vita: Si spieghi meglio?
Ichino: Guardi quello che sta accadendo per Alitalia. Sindacati e governo stanno facendo i ?colloqui di selezione? per ingaggiare il nuovo imprenditore, ma il movimento sindacale sta facendo di tutto per scoraggiare i candidati, con lo slogan «L?Italia non è in vendita» e la difesa della italianità delle aziende. Alla fine, l?unico aspirante rimasto è AirOne, cioè una compagnia italiana, e non la migliore possibile: non lo è né dal punto di vista dei viaggiatori né – a medio termine – da quello dei lavoratori. Sarebbe importantissimo, al contrario, avere dei sindacati interessati ad allargare il più possibile la cerchia dei candidati, capaci di contrattare il migliore di essi anche se viene dall?altra parte del mondo. E questo anche se il piano comporta grosse novità nell?organizzazione del lavoro, nella struttura delle retribuzioni, nelle relazioni sindacali.

Vita: Da più parti arrivano le critiche a un sindacato che tutela solo chi è già garantito, che combatte battaglie di retroguardia, che non è in grado di rappresentare giovani, cococo e copro.
Ichino: Il primo problema è la chiusura del sistema italiano all?investimento proveniente dall?estero, l?imposizione di un modello rigido della retribuzione e dell?organizzazione del lavoro: quello delineato nel contratto collettivo nazionale. Innovare invece esige che in azienda si sperimentino modelli diversi, che non sono necessariamente una ?deroga in peggio?: sono modelli già sperimentati in molte aziende europee, dove i lavoratori stanno molto meglio dei nostri. Ma da noi questo non si può fare, per via dell?inderogabilità del contratto collettivo nazionale.

Vita: Qual è la sua proposta per uscirne?
Ichino: Conservare il contratto nazionale come disciplina di default: si applica in tutto il settore, ma solo se non è derogato da un contratto di livello inferiore, stipulato da una coalizione sindacale maggioritaria a quel livello.Vita: Questo richiede una riforma del sistema di verifica della rappresentatività dei sindacati.Ichino: Tecnicamente, non sarebbe difficile realizzarlo. Ma a tre anni da quando hanno detto che avrebbero elaborato una proposta comune, Cgil, Cisl e Uil non hanno ancora fatto un solo piccolo passo avanti su questo terreno.

Vita: È una ricetta praticabile? Sa quel che dicono: le politiche del lavoro si dividono in due categorie, quelle praticabili e quelle di Pietro Ichino.
Ichino: Se per ?politicamente praticabili? si intendono idee attuabili in tempi brevi, è vero: le mie idee ci hanno messo sempre molti anni prima di affermarsi. Alla fine degli anni 70 ero praticamente solo, nella sinistra politica e sindacale, a dire che occorreva riconoscere e disciplinare il part time, abolire il monopolio statale dei servizi di collocamento, abrogare la regola dell?avviamento al lavoro su ?richiesta numerica?, abolire la scala mobile per combattere l?inflazione, porre un limite temporale alla cassa integrazione. Tutte queste idee oggi si sono realizzate e quasi nessuno tornerebbe indietro.

Vita: La rivendicazione delle 35 ore è stata la punta estrema di un?idea del lavoro come alienazione: meno si lavora, più si vive. In Francia ora stanno facendo retromarcia. Le 35 ore vanno messe in soffitta?
Ichino: Da mettere in soffitta è solo l?idea di imporre il limite delle 35 ore di lavoro alla settimana. È dimostrato che la riduzione autoritativa degli orari non produce redistribuzione dell?occupazione e che, al contrario, chi lavora di più non porta via lavoro agli altri: semmai aumenta le occasioni di lavoro per altri, poiché consuma semilavorati, crea ricchezza, aumenta la domanda di beni e di servizi. Detto questo, occorre costruire una società in cui sia possibile, per chi lo sceglie, lavorare solo 35, 30 o anche 25 ore.Vita: Ma non significa perdere di vista la dimensione collettiva e solidaristica del lavoro? Lasciare l?individuo solo a gestire il rapporto con il datore di lavoro?Ichino: Non direi. Aumentare la capacità di scelta del singolo significa facilitare un intreccio migliore dei tempi di vita e lavoro: un intreccio che sempre più richiede la possibilità di discostarsi dal modello standard tradizionale, libertà di autodeterminazione a livello individuale. Non vedo perché ciò dovrebbe ridurre gli spazi di solidarietà e coesione tra i lavoratori.

Vita: Di certo riduce il ruolo del sindacato…
Ichino: Il contratto collettivo deve diventare una ?rete di sicurezza? e sempre meno l?imposizione di un modello standard. E il sindacato deve imparare a svolgere sempre più il ruolo di consulente, di assistente del singolo lavoratore nella negoziazione di condizioni di lavoro ?su misura? per lui.

Vita: Sull?orario di lavoro Sarkozy ha fatto lo scatto, riscuotendo un non scontato successo: «Lavorare di più per guadagnare di più» è stato il suo motto. Il lavoro è tornato ad essere un bene, non un peso?
Ichino: Quello di Sarkozy è un modo elegante per invertire la rotta senza ?disfare? formalmente quel che ha fatto il governo di sinistra nel 2000-2001: in Francia la nuova maggioranza non smonta mai ciò che ha fatto la precedente, perché si pensa – giustamente – che abrogare una legge entrata in vigore da poco riduca il prestigio delle istituzioni. Così, l?orario settimanale di 35 ore resta, ma ora si faciliterà chi vuole lavorare di più. Per quanto riguarda gli straordinari, più che detassare da noi occorrerebbe ridurre i contributi previdenziali sul lavoro straordinario e sui premi di produzione aziendali, come previsto nel protocollo Ciampi del 1993.

Vita: Veltroni a Torino – ma anche a Roma alcuni mesi fa, quando ha intitolato a Marco Biagi una via della città – ha infranto il grande tabù della sinistra, riabilitando la legge Biagi. Una rivincita, per lei?
Ichino: Non è quella legge che ha causato o favorito il precariato. La legge Biagi non ha cambiato nulla della disciplina del lavoro regolare, a tempo pieno e indeterminato: è intervenuta soltanto sui lavori marginali e lì non ha liberalizzato, semmai ha regolato in modo più rigoroso. Prova ne è che da quando quella legge è entrata in vigore, non c?è stato aumento dei contratti a termine e le collaborazioni autonome sono in netto calo. Il fatto è che il fenomeno del precariato ha radici e cause molto più lontane, nella globalizzazione e nel progresso tecnologico, che hanno indebolito la parte meno qualificata della forza lavoro.

Vita: Crescente forbice tra i lavoratori da un lato e immigrazione dall?altro: secondo lei il lavoro è ancora uno strumento di integrazione? E come, se sempre più spesso è irregolare?
Ichino: Questa è la grande sfida che ci troviamo di fronte, e che riguarda la parte più debole della forza lavoro. Probabilmente sarà la questione cruciale del nuovo secolo. Ma è una sfida che non vinceremo limitandoci a fare leggi migliori: quando le disuguaglianze tra i lavoratori aumentano, come stanno aumentando oggi, l?uguaglianza non la si può ?garantire? con un tratto di penna, occorre costruirla rimboccandosi le maniche, nel vivo del tessuto sociale e produttivo.

Vita: Ha dei suggerimenti?
Ichino: L?uguaglianza la si deve costruire prendendo per mano chi rimane indietro, per aiutarlo a recuperare il terreno perduto rispetto a chi corre più veloce, dandogli un sovrappiù di servizi di educazione, formazione, addestramento, informazione, assistenza alla mobilità. Tutto questo è molto più costoso e più difficile che ?garantire? un diritto sulla carta, ma è il solo modo – lo diceva già don Milani – in cui possiamo affrontare questa questione decisiva per le sorti della nostra società.


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