Non profit

Gli stipendi degli insegnanti

Pietro Citati dalla prima pagina di Repubblica ha lanciato una proposta che dai soliti autorevoli osservatori è stata giudicata suggestiva ma romanzesca ...

di Giuseppe Frangi

Pietro Citati dalla prima pagina di Repubblica ha lanciato una proposta che dai soliti autorevoli osservatori è stata giudicata suggestiva ma romanzesca: l?Italia dovrebbe avere il coraggio di raddoppiare gli stipendi dei professori. Oggi un insegnante al massimo della carriera arriva a guadagnare poco più di 1.500 euro. Questo non solo allontana tanti dall?idea di intraprendere questa professione, ma alla lunga crea scetticismo e disillusione. I ragazzi guardano ai loro professori come a degli sconfitti in una società dove la riuscita si valuta principalmente sul guadagno. I professori a loro volta entrano in una spirale di demotivazione in cui, alla fine, sembra aver ragione chi meno si impegna.

Ma è davvero folle l?ipotesi lanciata da Citati? Dipende dalle priorità che un Paese si dà. Facciamo un esempio, legato al tema di copertina di questo numero. Il governo sta discutendo sull?impossibile superamento dello scalone pensionistico che, come ha dimostrato Emma Bonino, ministro di questo stesso governo ma ostile all?ipotesi, comporterà una spesa di circa 7 miliardi di euro (!) per dare maggiori garanzie a 120-130mila persone. È un po? complicato fare i calcoli circa l?ipotesi di Citati, ma certamente non si arriva a cifre molto più stratosferiche. Quelli che certamente cambiano sono i numeri dei ?beneficiari?, che non sono solo i circa 800mila insegnanti del nostro sistema scolastico, ma anche gli oltre 8 milioni di ragazzi che frequentano le nostre aule (e aggiungiamoci pure le loro famiglie).

Ovviamente i numeri lasciano il tempo che trovano, ma servono per aver presente la strana scala di priorità che sembra valere in questo Paese. Del resto la scuola non è mai entrata tra le candidate alla ?spartizione? del tesoretto non essendo tra le cinque priorità indicate da Prodi (pensioni più basse, infrastrutture, ricerca e innovazione, sicurezza). Mentre nel Dpef è entrata per sottolineare gli obiettivi della qualità (precisamente: qualità della scuola, qualità dell?insegnamento, qualità della conoscenza). Peccato che poi lo stesso documento del governo abbia dovuto incassare i nuovi dati sulla ?qualità? reale e non ipotetica della nostra scuola: tra i ragazzi della fascia 18-24 anni, il 20% si sono fermati al titolo di scuola media inferiore contro una media degli altri Paesi della Ue al 15% (gli obiettivi di Lisbona per il 2011 parlano di un 10%).

Questi certamente non sono numeri che lasciano il tempo che trovano. Semmai spiegano sufficientemente come la provocazione di Citati non sia affatto fuori posto. Perché la vera questione che abbiamo davanti riguarda il futuro. Cioè riguarda la decisione se investire o no sui giovani, a partire quindi da un investimento su coloro che hanno il delicatissimo e fondamentale compito di formarli e di prepararli ad avere un ruolo nella società di domani.

Altrimenti succede che i giovani entrino in agenda solo quando diventano un problema, quando emergono come patologia sociale. Che siano come un mondo estraneo, un mondo a parte, al quale il mondo adulto non sa dare un?ipotesi di lavoro. Mettere sul tappeto la dignità, anche economica, dell?essere insegnante sarebbe come un grande segnale di un?inversione di tendenza. Continuare a pensare e a convincersi che questa sia stata soltanto la boutade di un vecchio intellettuale un po? nostalgico, è un?idiozia. Anche se pochi saranno disposti a dargli credito, converrebbe davvero a tutti mettere in agenda l?idea lanciata da Pietro Citati.

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