Cultura

Un rosario di tavor per il figlio che si droga

E' il ritornello quello che ti si ficca in fondo alla testa. Quella litania di caracreatura, ripetuti all’infinito. A cui fa da contrappunto il Federicomio...

di Sara De Carli

E' il ritornello quello che ti si ficca in fondo alla testa. Quella litania di caracreatura, ripetuti all?infinito. A cui fa da contrappunto il Federicomio, anch?esso scritto tutto attaccato, ma sottotono, sottotraccia, perché Marina è una figura gigante di mamma, che l?essere moglie lo ha messo nel cassetto dei ricordi felici, da coprire con la carta da giornale, come gli specchi e le finestre, per avere una sofferenza in meno da guardare. È un rosario recitato a Santa Maria delle Solitudini, Santa Maria delle Indifferenze, Madonna delle Inquietudini. Un ritornello monocorde, che spiazza però ogni volta per la fantasia, l?aggettivo nuovo, l?accostamento preciso: una pennellata leggera per incidere uno stato d?animo. Se Chaim Potok paragonava a una crocifissione la mamma in attesa del rientro a casa del figlio, nel riquadro di luce della finestra, Pino Roveredo sceglie il rosario, perché «il Cristo del Calvario doveva essere senz?altro stato una donna, e lo invocai ad alta voce e poi lo bestemmiai al femminile».

Il nuovo libro di Roveredo narra di una madre cinquantenne, vedova, alle prese con un figlio di vent?anni che si droga. Una storia che comincia nel 2000, non negli anni 80. L?altro lato delle brevi sui giornali. Di quelli veri e di quel lungo articolo che intermezza il racconto, con la storia di Marina e di Gianluca vista dalla facciata. Roveredo invece lo aveva detto la sera stessa del Campiello, di voler continuare a raccontare la schiena delle cose. Un monologo con la claustrofobia, l?umiliazione, l?attesa, il desiderio, la rabbia, la speranza, la delusione, la pazzia e l?alcool e i tavor. Ai fatti sono riservate poche parole, giusto per spiegare gli stralci del giornale. Il resto è vissuto. Con un Roveredo che racconta in prima persona femminile la trasformazione di una donna normale in una di quelle che i giornali chiamano ?madri coraggio?. Capace di uscire a comprare una dose al figlio e una manciata di ore dopo di denunciarlo, che non si lascia intimorire dal gatto morto appeso alla maniglia di casa e impazzisce la notte davanti a un immaginario lupo nascosto in camera, caparbia nel sostenere mesi di pellegrinaggi in carcere, da un figlio che non la vuole incontrare.

Mai retorico né sentimentale, Roveredo dissemina il libro di piccole frasi che condensano il mondo interiore di Marina. «Avevo solo chiesto di fare la madre, non la martire. Non ho la stoffa, né il cuore e né la voglia, ma soprattutto non mi interessa un cazzo di guadagnare un posto in paradiso. Io voglio solo sapere perché?».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA