Welfare
La politica in overdose di chiacchiere
Un sistema degli interventi allavanguardia in Europa e che la classe politica italiana sta lasciando andare alla deriva. Il vero snodo della politica sulle dipendenze sta...
Puntuale, l?allarme droga è scattato anche quest?anno. «è emergenza cocaina». «Italia, nuovo boom dell?eroina». Difficile trovare sui quotidiani del 26 giugno scorso, in occasione della 20esima edizione della Giornata mondiale contro le droghe, titoli che sfuggissero alla tentazione di lanciare l?ennesimo sos. Perfino i ministri della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, e della Salute, Livia Turco, hanno colto l?attimo per annunciare ?urbi et orbi? l?avvio dell?iter della riforma della Fini-Giovanardi. I fari mediatici sono puntati. «Carpe diem», dicevano i latini. Dalle prime anticipazioni, però, i confini della nuova norma paiono ancora in via di definizione. Il punto d?ancoraggio pare comunque essere il ritorno alla distinzione fra droghe pesanti e droghe leggere. Per il resto tutto è affidato al «ping pong» (parole di Ferrero) di veti e controveti con cui i vari ministeri passeranno al setaccio la proposta. Niente di nuovo sotto il sole, insomma.
Eppure basterebbe aprire uno spiraglio fra gli isterismi politici di questi giorni per accorgersi che dietro l?aumento dei consumi di sostanze si nasconde un sistema di interventi in grave sofferenza.
Qualche numero. In Italia sono 200mila gli utenti presi in carico dai servizi pubblici (circa 180mila utenti) e dal privato sociale (poco meno di 20mila utenti), spesso in sinergia fra loro. Si tratta di un modello di collaborazione unanimamente apprezzato in tutta Europa, che però lascia fuori dalla porta «circa 300mila persone che avrebbero bisogno di una presa in carico», nota Roberta Balestra, dirigente nazionale di Federserd (la sigla che riunisce gli operatori dei Sert).
Le falle nella rete sono evidenti, o almeno dovrebbero esserlo. L?organico dei servizi pubblici per le dipendenze è, in media, ridotto al 50% rispetto a quanto previsto nel dpr 309/90. Il numero delle persone prese in cura è in aumento, ma gli operatori fra pubblico e privato non superano i 13mila.
Non basta? Per il Cnr in Italia i consumatori di cocaina sono 1,5 milioni, ma l?accesso a servizi è ristretto ad appena 30mila di loro. Un corto circuito che con la riforma della legge ha poco a che fare. Sia chiaro, per Lucio Babolin, Mimmo Battaglia e Alfio Lucchini, alla guida rispettivamente dei due più importanti network di comunità terapeutiche, Cnca e Fict, e della Federserd, che insieme rappresentano il 90% degli operatori e sono i firmatari del Tavolo di alta integrazione delle Comunità e dei Sert, una revisione legislativa è più che mai necessaria. «Ma questa maggioranza ha dimostrato di non avere una posizione organica», dice Mimmo Battaglia. «Occorre essere sinceri, il centrosinistra non ha lanciato segnali di cambiamento», gli fa eco Babolin, ma molto si potrebbe fare anche senza entrare nel ginepraio politico. Che cosa? Per esempio riesumare il Fondo nazionale di lotta alla droga da quattro anni confluito nel mare magnum dei fondi sociali destinati alle Regioni senza però alcun vincolo di destinazione. Col duplice risultato che le stesse Regioni spendono per il settore dipendenze una cifra pari allo 0,8% del Fondo sanitario nazionale (la media continentale si attesta all?1,5%) e la forbice delle rette per le comunità si è allargata sempre di più: «Si va dai 40 euro al giorno a oltre 90 euro. è mai possibile che non si riesca ad uniformarci?», si chiede Battaglia. «Eppure una giornata di degenze in ospedale ha lo stesso costo dappertutto».
«Andiamo avanti, ma siamo stanchi di tanta superficialità», chiosa Battaglia. Chiusura al veleno anche per Babolin: «La Consulta, che dovrebbe essere il luogo del confronto, sta dimostrando tutta la sua fumosità, difficile perfino capire quale sia il nostro reale interlocutore. Solidarietà sociale, Salute, Istruzione, Giustizia. Con quale ministero dobbiamo parlare?». Quello di Prodi non doveva essere un governo amico?
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