Famiglia
Famiglie immigrate: la speranza sono i figli
Ricerca/ La misura dellintegrazione? È affidata ai G2
di Chiara Sirna
Stabilità, miglioramento sociale ed economico, chance per il futuro: le famiglie straniere in Italia non hanno dubbi, tutto ciò si realizzerà grazie ai figli. Tocca a loro trovare un posto nella società, studiare, lavorare, e diventare ?ponte? per l?integrazione degli stessi genitori. Lo rivela una ricerca Iref-Acli.
Che si tratti di bambini o adolescenti ricongiunti, di figli nati nel Paese di emigrazione o venuti in Italia soli, è su di loro che si concentrano le speranze per il futuro. È grazie a loro che i genitori stranieri contano di migliorare le proprie condizioni di vita, sia dal punto di vista sociale, sia economico. Ed è sempre tramite loro che si intravede la via della stabilità. È quanto emerge dal Primo rapporto nazionale sui processi di integrazione sociale delle famiglie immigrate in Italia (Franco Angeli), promossa dalle Acli e curata dall?Iref.
Ebbene, sembrerà strano ma su mille genitori immigrati intervistati (di cui il 65% con uno o più figli), il 78,4% ritiene che i propri figli si iscriveranno all?università. Di questi il 31,3% l?ha dato per «scontato», il 42,4% ha precisato «solo se lo vorranno», e il 4,7% ha posto una condizione: che siano i figli stessi a pagarsi gli studi. In ogni caso, la percentuale di chi «esclude» un percorso universitario è di appena il 20,6%: il 6,3% di questi per motivi economici, il 5,6% perché «non ne avranno voglia», il 4,5% perché «dovranno lavorare» e solo lo 0,7% perché «non si sente all?altezza». Insomma, le seconde generazioni fanno un po? da spartiacque: sono il punto di passaggio obbligato per raggiungere un livello di integrazione maggiore e abbandonare lo stato di isolamento iniziale della famiglia immigrata.
Non a caso con l?aumentare degli anni di permanenza degli immigrati aumenta anche l?uso dell?italiano: si va dal 15,7% per chi sta in Italia da quattro anni, al 26,3% per chi supera i nove anni di residenza. Idem per chi adotta entrambe le lingue, sia l?italiano che quella d?origine: in questo caso si va dal 38,2% di chi sta in Italia da meno di quattro anni, fino al 50,3% di chi supera la soglia dei nove anni.
Ma l?integrazione viaggia di pari passo con i servizi offerti e il livello di accoglienza raggiunto. Sono soprattutto le famiglie che vivono in zone caratterizzate da un sistema di welfare efficiente a desiderare il proseguimento degli studi universitari per i propri figli (86%). La percentuale si abbassa con il diminuire della qualità dell?assistenza (80,1%) e si riduce ulteriormente quando il sostegno si restringe alla cerchia familiare (70,2%). «Sono molti gli spazi intercettabili dal terzo settore», commenta Gianfranco Zucca, uno dei ricercatori e curatore, insieme a Marta Simoni, dell?intero rapporto. «In gran parte le famiglie straniere sono cresciute grazie alla propria capacità di autorganizzazione, ora bisogna colmare questo gap tra insediamento e integrazione».
Il quadro delle aspettative concrete, però, si discosta da quello delle speranze. Sulla possibilità dei figli di trovare un buon lavoro infatti solo il 59% risponde in maniera positiva (nonostante l?alta percentuale di chi dà per certo il proseguimento degli studi a livello universitario). Il restante 41% ritiene che la possibilità di un impiego ben pagato e soddisfacente sia pressoché nulla.
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