Economia

Non profit e bene comune: il pungolo di Pellegrino Capaldo

Ecco l'intervento di Pellegrino Capaldo a un convegno su "Il denaro e l'esistenza"

di Sara De Carli

Il convegno, organizzato dalla fondazione I Care, nata in seno all’espereinza di Comunità e Famiglia, era dedicato a “Il denaro e l’esistenza: cosa ricerchiamo per essere felici, come persone, come organizzazioni, come società”, che si è tenuto a Milano. Tra gli intervenuti, Bruno Volpi, Pietro Ichino, Silvano Fausti e Pellegrino Capaldo. Pubblichiamo di seguito il suo intervento.

La cosa che più mi ha colpito è la grande diversità delle tre presentazioni: Fondazione I care, Comunità e famiglia, la società cooperativa La cordata. Un progetto immobiliare alla Barona, con forte connotazione sociale, certo, ma sempre un progetto immobiliare; la realtà di Comunità e famiglia, a Villapizzone, che è un insieme di comunità di famiglie; terzo l?impresa sociale. Il primo compito è tenere conto che si tratta di realtà molto diverse. Tutte e tre queste realtà così diverse sono accomunate dal fatto di essere proiettate alla produzione di beni relazionali. Questo è il comune denominatore.

Affronto tre temi. Primo, le risorse. Per fare le tante belle cose che queste e altre associazioni fanno, è chiaro che occorrono risorse finanziarie. Come risolvere questo problema? Si può farlo indebitandosi, ma poi i debiti si devono restituire. Quali sono allora le forze a cui attingere per restituire i debiti? O i risparmi (la capacità di risparmio delle famiglie o quella d?impresa) o le donazioni, sviluppando la capacità di attrarre donazioni. Tutti devono rendersi conto di aver fatto delle scelte precise che li portano a posizionarsi rispetto ai potenziali donors: quali sono gli specifici beni relazionali che perseguo e produco, quali sono i modi che ho scelto per realizzarli? E qui arriva il primo compito, quello di tenere viva la tensione sui valori, aiutare le diverse realtà a non dissipare il capitale sociale. Tutte le organizzazioni produttive sono esposte a minacce, una delle più gravi è la dissipazione del valore che si è creato. È una minaccia interna, perché a un certo punto si parte per la tangente, il successo dà alla testa, si cerca la visibilità per la visibilità.

L?altra cosa è questa: stiamo attenti a non pensare che ci siano diversità così enormi tra profit e non profit. Anche le banche devono porsi di fronte alle aziende del terzo settore cercando di valutare i progetti imprenditoriali, che è un tipo particolare di imprenditorialità ma si tratta sempre di progetti valutabili in base alla innovazione e alla capacità di far quadrare i conti. Nelle banche deve svilupparsi una capacità di valutare le iniziative e le persone e sulla base della fiducia che segue questa valutazione si crea più facilità di accesso al credito. Lo sviluppo del Nord Est è nato così, perché c?erano delle piccole banche che senza chiedere garanzie, sulla base della fiducia e della conoscenza diretta, hanno consentito a tante imprese di crescere. Perché il Terzo settore decolli deve verificarsi qualcosa di analogo. Con tutte le regole, ma sviluppando la capacità di valutazione.

Terzo elemento, il denaro e l?esistenza. Ogni volta che siamo chiamati fare delle scelte, dobbiamo capire qual è il bene comune che è in gioco in quella situazione. E con professionalità e senza protagonismi cercare di muoverci nella direzione di fare il bene di ogni singola persona coinvolta in quella data situazione. Questo vale anche nelle aziende profit, è il good management. C?è un bene comune dell?impresa concepito non come il bene della società in antagonismo con il bene dei lavoratori, ma in armonia. In questo dovrebbe essere avvantaggiate le imprese sociali, ma se anche non fosse così facile è un obiettivo che devono perseguire. E qui bisogna essere innovativi. Non il sogno da solo, né la concretezza da sola, ma insieme. E soprattutto la capacità di fare comunità tra le persone.


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