Cultura

A casa degli ultimi cristiani di bagdad

Erano oltre mezzo milione prima della guerra. Ora ne sono rimasti 25mila. Perché vivere è impossibile.

di Paola Nurnberg

A Bagdad, nel distretto di Dora – una volta il quartiere cristiano caldeo – ora non è rimasto quasi più nessuno, e molte abitazioni sono state abbandonate. Dalla caduta del raìs, contro la comunità cristiana si sono rivoltati prima i fondamentalisti sunniti e poi gli sciiti che, sentendosi forti dello squilibrio numerico che la caratterizza, all?inizio di giugno hanno rincarato la dose di violenze facendo circolare una lettera che impone il velo alle donne, pena la segregazione in casa o altre punizioni.

La situazione, sempre più grave, è stata più volte denunciata dal patriarca Emmanuel III Delly, che lamenta la mancanza di intervento da parte delle autorità locali, totalmente indifferenti al problema.

Per i cristiani caldei rimasti in Iraq al momento la ?scelta? è divisa tra: convertirsi, pagare una tassa per sopravvivere, lasciare il Paese, morire. Ricatti inaccettabili per una minoranza che ha sempre vissuto in pace in questo Paese martoriato dal conflitto. Ad angoscia si è aggiunta altra angoscia, dopo l?assassinio a Mosul del sacerdote Ragheed Ganni, massacrato dopo la messa domenicale insieme a tre diaconi. La violenza non ha più limiti e sta travolgendo tutto e tutti. Si spera tuttavia in nuove iniziative dopo l?incontro di sabato 9 giugno a Roma tra Benedetto XVI e il presidente americano George Bush, al quale il pontefice ha espresso la propria preoccupazione, spingendo indirettamente per un maggiore sostegno ai cristiani iracheni da parte delle truppe Usa.

Intanto ha suscitato reazioni negative il progetto di destinare ai pochi cristiani rimasti in Iraq la Piana di Ninive, vicino a Mosul, per farne una sorta di provincia autonoma. Ipotesi contestata dall?arcivescovo di Kirkuk, Louis Sako, ma anche dal segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, che rifiutano quella che diventerebbe secondo loro una ?ghettizzazione? della comunità cristiana, soprattutto in un Paese in cui la minoranza ha vissuto per secoli all?insegna della tolleranza.

Ad Al Saha, vicino a Dora, una coppia mostra la sua casa, praticamente l?unica abitata, che sorge in una strada piena di villette ormai abbandonate. Per raggiungerla è necessario muovere un convoglio di una trentina di soldati Usa, che si spostano con sei mezzi blindatissimi Stryker (ma un mese fa un giornalista e l?equipaggio sono morti a bordo di questi ?carri armati a ruote?, per l?esplosione di un ordigno). Apre il convoglio la polizia irachena, una decina di uomini dotati di kalashnikov e giubbotto antiproiettile. Per percorrere a piedi i pochi metri che separano la strada principale dalla piccola strada in cui vive la coppia è necessario perlustrare la zona. Avanzano dei soldati incaricati di bonificare il cammino. Si entra, procedendo a zig zag, nei giardini delle case lasciate vuote. Ci vogliono quasi dieci minuti per fare quei pochi metri, per raggiungere i due cristiani, marito e moglie. Loro non se ne vanno perché non vogliono che gli integralisti si prendano la loro casa, a costo di morire lì, dove vivono da tanto tempo. Altre persone si trovano nelle stesse penose condizioni: in caso di necessità non si può chiedere aiuto a nessuno. Non si esce mai per prudenza e per paura.

E' impossibile però prevedere quale sarà lo spazio vitale per i cristiani iracheni che decideranno di restare. La chiusura e gli attacchi alle chiese terrorizzano i fedeli. E il tentativo di nascondere oggetti sacri e simboli – come una semplice catenina al collo – per passare inosservati, era forse possibile quando la comunità era ancora numerosa. Adesso invece, non c?è persona che non si senta a rischio.

Info: www.fides.org/ita/dossier/iraq_religion.html


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