Formazione
Migrant bank/ Coinvolgiamo le comunità. No ai prodotti ghetto
La voglia di stabilizzazione accelera la crescita del credito straniero. Gli istituti si muovono. Con un tratto in comune: il primo passo devessere sempre lascolto...
Giovani, desiderosi di farsi strada, di crearsi una famiglia, con una forte propensione all?iniziativa (gli imprenditori non nati nell?Unione a 15 sono quasi 140mila) e al risparmio (si stima che nel 2005 i migranti abbiano messo da parte qualcosa come 12,3 miliardi di euro). Non c?è solo il lato ?problema? dell?immigrazione: c?è anche quello ?risorsa?, e lo ha ribadito il recente Rapporto annuale dell?Istat. E lo confermano gli istituti di credito ai quali abbiamo chiesto quale sia stato il loro approccio nei confronti di questa clientela.
Usare il plurale
Anche chi (come Unipol) fino a oggi ha preferito non elaborare prodotti specifici, sta cominciando a pensarci e a ?studiare?: il cosiddetto migrant banking è senza dubbio un filone interessante. Visti i numeri della crescita («analoghi a quelli del boom degli anni 60», precisa Ettore Carneade, del Monte Paschi di Siena). E visto che il desiderio di stabilizzazione si concretizza anche con il ricorso ai servizi bancari.
Ma la comunità straniera non esiste in astratto. Molto meglio usare il plurale per tener conto delle varie nazionalità e soprattutto delle diverse modalità d?appartenenza. Non stupisce perciò che gli istituti interpellati abbiano adottato approcci tesi all?ascolto. Così, ad esempio, la Banca popolare di Milano, spiega Gian Pietro Lattuada, ha pragmaticamente elaborato proposte che accompagnano il processo di insediamento: «Si parte dalle rimesse per arrivare al conto corrente. Abbiamo voluto essere molto attenti all?eventuale ostacolo linguistico e perciò abbiamo realizzato materiale informativo in otto lingue. Lo scorso anno abbiamo inaugurato un call center con operatori madrelingua e da ottobre 2006, in sei agenzie, abbiamo dei corner multietnici». Un pragmatismo che ha dato buoni risultati (37mila clienti stranieri, il 4% del totale) ma che non è rimasto dietro lo sportello. È uscito dalle filiali per allearsi con altri soggetti e fondare un?associazione di sostegno per l?imprenditoria immigrata (costituita da Bpm, Bocconi, Camera di commercio, Confartigianato e Confcommercio).
Diverso l?approccio delle Bcc, la cui federazione ha adottato una strategia in due atti. Anzitutto un?indagine quantitativa sugli immigrati già clienti. In un secondo tempo un approfondimento qualitativo, realizzato anche con incontri fra Bcc, federazioni regionali e rappresentanti delle comunità. «Come sempre», spiega Sergio Gatti, responsabile comunicazione di Federcasse,«il grosso del lavoro è culturale: occorre comprendere. E dato che non ha senso parlare di immigrati in senso generale, abbiamo coinvolto le varie comunità, ciascuna delle quali ha il suo patrimonio formale e informale. E così abbiamo conosciuto forme qualificate di rappresentanza».
Assumere mediatori
Da queste iniziative non sono nati solamente ?prodotti? o scelte operative (come ad esempio l?assunzione di mediatori culturali). Sono derivati anche progetti di solidarietà. «Questo percorso è stato utile per mettere a fuoco le diverse esigenze, ma si è rivelato anche una sfida».
Non a caso è proprio sulla componente interna che si caratterizza la strategia scelta da Monte dei Paschi di Siena: «Dopo il varo del nuovo Piano industriale», spiega Carneade, «abbiamo rilanciato l?attività nei confronti di questa potenziale clientela intrecciando i contatti istituzionali (con il mondo associativo), i rapporti territoriali fra sportelli e realtà locali e la sensibilizzazione del personale: abbiamo realizzato corsi specifici perché i colleghi avessero gli strumenti per capire la realtà dell?immigrazione». La scelta di Mps è stata quella di non creare né filiali né prodotti ghetto: «Semmai ci sono specifiche agevolazioni. Quanto ai risultati: nel primo trimestre 2007 registriamo 15mila nuovi rapporti».
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.