Famiglia

Emergenze. Una struttura debole. La Protezione civile sola come il Molise

Guido Bertolaso confessa l’affanno di fronte a due emergenze “locali”. La sua struttura da 5 anni è all’ultimo posto dell’agenda politica. E i volontari...

di Gabriella Meroni

L?Italia non può sopportare due emergenze nazionali contemporaneamente. Un terremoto circoscritto, un?inondazione locale sì, possiamo fronteggiarla; due catastrofi insieme no». Così si esprimeva, pochi mesi dopo il terremoto dell?Umbria, il presidente di una grande organizzazione di protezione civile italiana. Che aggiungeva: «E sa perché? Ci manca il coordinamento. Gli uomini, i mezzi, le competenze ci sono. Non c?è chi ci sappia dire dove, come e quando utilizzarle». Quasi cinque anni dopo, con le ferite aperte dai terremoti di S. Venerina e S. Giuliano, quella analisi sembra ancora tragicamente valida. Partiamo dal concetto di ?emergenza nazionale?: a bocce ferme, possiamo dire che difficilmente l?eruzione dell?Etna e la tragedia di S. Giuliano possono essere classificate come emergenze nazionali. In Sicilia non ci sono state vittime e le scosse non hanno superato il VI grado della scala Mercalli; in Molise il dramma ha riguardato, di fatto, qualche piccolo paese, gli sfollati sono 10.200, un numero destinato a ridursi con il passare dei giorni e le verifiche sull?agibilità degli edifici. Niente a che vedere con i terremoti del Friuli o dell?Irpinia, che fecero migliaia di morti e in intere regioni, ma neppure con quello dell?Umbria del 1997, che distrusse o rese impraticabili interi paesi e lasciò 55mila senza tetto. Eppure i problemi sono stati tanti e tali da far sospirare a Guido Bertolaso, apprezzato capo della Protezione civile, che «già bastava la lava dell?Etna, poi ci si è messo anche il terremoto in Molise». Due emergenze locali, dunque, bastano ormai a far saltare ogni meccanismo, e già di per sé questo è un dato che dovrebbe far riflettere. Sulla mancanza di coordinamento, poi, si sono fatti solo passi indietro. L?esempio del Molise è illuminante: a S. Giuliano di Puglia (1.200 anime) sono scese in campo Regione e prefettura, a litigarsi il comando delle operazioni, e poi ministero dell?Interno, della Difesa, dell?Istruzione (che ha inviato una task force) e migliaia di persone (3.400 uomini, in pratica tre soccorritori per abitante). Faceva impressione, nei giorni scorsi, scorrere i comunicati degli uffici stampa delle Regioni italiane: parte l?autocolonna della protezione civile lombarda, dall?Emilia giunge una tendopoli, in arrivo i tecnici abruzzesi, dalla Campania unità cinofile, accorrono i vigili del fuoco friulani, ecco gli ingegneri marchigiani. Risultato, due giorni e mezzo dopo il sisma la prefettura di Campobasso è costretta a diramare una nota per invitare i volontari extraregionali a fare riferimento ai propri uffici «onde evitare intralci e duplicazioni negli interventi». E ancora cinque giorni dopo, si segnalano persone che non hanno ancora una tenda e dai Comuni attorno a S. Giuliano sale il grido dei sindaci che si sentono «abbandonati». Ma la vera abbandonata, è la Protezione civile, scivolata ormai da tempo all?ultimo posto dell?agenda politica italiana. L?ultimo tentativo di intervento data 1999, quando sulla scorta delle figuracce rimediate in Umbria il governo di centrosinistra riformò il settore dando vita all?Agenzia di protezione civile, una struttura più snella del precedente Dipartimento alle dipendenze del Viminale, che avrebbe dovuto privilegiare il decentramento delle competenze, sganciandosi dalla figura dei prefetti e scegliendo il coordinamento regionale insieme al volontariato. Siamo nel 2001, e cambia l?esecutivo: meno di quattro mesi dopo essersi insediato, il governo Berlusconi sopprime l?Agenzia di protezione civile (che d?altra parte non era mai decollata), e con un decreto di 8 articoli resuscita il vecchio Dipartimento, mettendolo questa volta sotto l?egida di Palazzo Chigi. Una rivoluzione mai partita: sempre per decreto si istituisce un Comitato operativo, poi più nulla. Non una parola sul decentramento regionale, sospeso senza troppi complimenti, non un rigo sul ruolo dei prefetti, che con l?Agenzia erano diventati figure di complemento dei governatori di regione. I volontari lanciano l?allarme, e consegnano al Dipartimento le loro proposte di modifica del regolamento, secondo cui la struttura nazionale interverrebbe solo in caso di calamità estese e gravi, lasciando agli enti locali le competenze sugli eventi regionali (come quelli di questi giorni). Inutile dire che quelle proposte sono rimaste lettera morta, e si è navigato a vista fino a oggi, sperando che tutto andasse bene. Ora il governo è atteso alla prova della Finanziaria, in cui si vedrà quanto ?pesa? il settore della protezione civile. Ma è chiaro che non è solo una questione di fondi, bensì di scelte politiche. Le organizzazioni di volontariato, i Vigili del fuoco, le squadre regionali e anche le prefetture attendono da troppo tempo di sapere cosa fare in caso di emergenza. I volontari, le loro grandi organizzazioni come Misericordie e Anpas, le loro proposte le hanno già avanzate; si tratta, solo, di ascoltarle.


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