Cultura

Se tasse e burocrazia fanno fuggire i cuochi

Ma un cuoco si arricchirà mai? A volte me lo chiedo, vedendo quanto impegno profondono i giovani cuochi di casa nostra che cercano con fatica la “via italiana” della cucina...

di Paolo Massobrio

Ma un cuoco si arricchirà mai? A volte me lo chiedo, vedendo quanto impegno profondono i giovani cuochi di casa nostra che cercano con fatica la ?via italiana? della cucina. «Un artista non è mai povero», risponderebbe d?istinto Babette, ma qui in Italia la vita è dura. L?altro giorno ero nel Roero, località emergente del Piemonte, alla sinistra del fiume Tanaro, di fronte alle Langhe e ad Alba. Qui è successo un piccolo miracolo, con sindaci che hanno passato sere fianco a fianco a disegnare il futuro dei loro paesi, da promuovere insieme. Hanno dato valore a un?uva che in dialetto chiamavano ?arnese? e oggi il loro bianco Arneis è tra i più apprezzati. Hanno un uomo di cultura prestato al vino e al gusto, Luciano Bertello, che presiede l?Enoteca del Roero e hanno un cuoco giovanissimo, Davide Palluda, che ha già fatto scuola e i suoi allievi sono disseminati nei paesi della zona. Un vero fenomeno. Ad accorgersene sono stati gli americani, tanto che i due Bill (Gates e Clinton) hanno sequestrato per un mese Villa Tiboldi di Canale, per seguire le Olimpiadi. Eppure, l?altro giorno uno degli chef migliori mi confidava che starebbe meditando di andare all?estero. Ovvio, perché? La tassazione in Italia è oltre il 50%, gli ispettori del lavoro, le Asl e quant?altro fanno a gara per colpirti, con la premessa che qualcosa di male uno la fa sempre. È come quel detto: «Quando torni a casa picchia tua moglie, tu non sai perché ma lei sì». Fanno così, tanto sanno che i ristoratori sono indifesi, isolati e non faranno mai le sceneggiate di via Paolo Sarpi a Milano, dove si muovono i governi se si tocca un take away. Così oltre ai cervelli della scienza, se ne vanno anche i cuochi, che hanno codificato il made in Italy che entusiasma il mondo. C?è stata una fase nei governi passati, soprattutto quando D?Alema era premier, dove i nostri chef furono portati in palmo di mano. Ma è stata una parentesi. Oggi quasi ce ne vergogniamo, pensando al gusto come un lusso e non come la lettura vera di un?Italia ricca di prodotti agricoli che diventano l?arte italiana, l?arte della cucina.

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