Welfare

Qui Costagrande, benvenuti nella post comunit

Ci stanno otto giovani. Passati per la droga o anche per l’azzardo. Ha porte aperte e punta tutto sull’autoeducazione...

di Daniele Biella

Che la residenza settecentesca di Costagrande sia una bellissima location, immersa nel verde dei colli veronesi, in un bosco popolato da decine di daini, è un dato di fatto. Ma che a renderla una realtà unica in Italia siano gli otto giovani che nella residenza vivono e lavorano, tutti alle prese con la riabilitazione dall?abuso di droghe, uno non se l?aspetta.

Eppure sono proprio loro che accolgono gli ospiti e gestiscono i servizi del luogo. Coordinarli alla perfezione è il fulcro della loro terapia. E che servizi! Albergo con 80 posti letto, sala pranzo per cerimonie con 200 coperti, altrettanti posti a sedere nelle tre sale congressi. Insomma, benvenuti a Costagrande, la comunità terapeutica più all?avanguardia d?Italia. «Dimentichiamoci le vecchie comunità, chiuse al mondo esterno: è un modello che non funziona più», dice Patrizia Allegra, responsabile della struttura che, assegnata dal proprietario (il collegio universitario don Mazza di Padova) in gestione alla Fondazione Exodus, ha aperto i battenti nel dicembre 2000. «Qui si sperimenta un nuovo approccio, che parte dall?assenza di modelli prestabiliti», spiega la responsabile. «La parola d?ordine di Costagrande è ?apertura?».

Aperta è, in primo luogo, l?utenza: adolescenti policonsumatori (cocaina, anfetamine, lsd) a fianco dei sempre meno frequenti eroinomani; ragazzi e ragazze con reati gravi e periodi di detenzione alle spalle; persone con altre dipendenze, come l?alcol o il gambling, il gioco d?azzardo. Aperte sono le porte della struttura, in entrambi i sensi: se il mondo esterno entra nella vita di comunità frequentando l?albergo, i ricevimenti e i seminari, a loro volta i residenti hanno svariate occasioni di uscire.

«Alcuni vanno a scuola, alle superiori o a corsi di formazione», spiega la 44enne Allegra che, dopo 20 anni di esperienza in varie comunità della fondazione di don Mazzi, una volta aperta Costagrande ha deciso di andarci lei per prima a vivere. «Altri hanno un lavoro, escono per commissioni, viaggi programmati. O anche per uscire la sera», aggiunge. Proprio così. Nella prima comunità di nuova generazione farsi una birra con gli amici al pub può essere parte della terapia.

«Se togliamo la socialità a questi ragazzi, gli togliamo tutto», dice Valter Drusetta, pedagogista della residenza e supervisore dell?Università della famiglia e del centro di ascolto, che hanno sede proprio a Costagrande. «La droga per loro è il problema minore, perché è la conseguenza di un malessere precedente», spiega Drusetta, «per questo il reinserimento deve passare attraverso l?autoeducazione». Sotto una quasi invisibile supervisione dei quattro educatori (che con responsabile, pedagogista, medico e psicologo formano l?équipe comunitaria) in ogni momento della giornata gli utenti sono lasciati liberi di organizzarsi il lavoro e il tempo libero. «Per abituarsi a vivere quello che troveranno una volta finito il percorso», aggiunge Drusetta. E nel caso di ricadute? «Ben vengano, perché se ?recuperate?, possono essere un ulteriore stimolo a cambiare».

L?esempio di Nicolò, uno degli otto ragazzi (cinque maschi e tre femmine) presenti attualmente nella struttura, è esemplare. È lui a raccontarlo: «Dopo poco più di un anno di permanenza e quindi senza consumare, a marzo ci sono ricascato, ed è stato un disastro», dice Nicolò, che a giugno affronterà l?esame di maturità. «Rubavo il furgone della residenza e andavo in città con un altro ragazzo a comprare la coca», continua. «Mi hanno beccato, e sono stato allontanato. Poi ho chiesto di tornare, perché ho capito che quello che ho fatto apparteneva al vecchio me stesso».

Libertà di sbagliare, quindi. La rivoluzione nel modo di trattare le nuove polidipendenze passa anche da qui. «Un regolamento c?è, ma è scarno», riprende la responsabile di Costagrande mentre ti mostra il suo ufficio ricavato da una piccola stanza dell?albergo. «Come in una famiglia allargata, ognuno deve far sapere sempre cosa fa e dove va». In effetti, le regole sono una decina in tutto, e riguardano soprattutto la gestione della struttura e il rispetto di mansioni e orari. Anni luce dal modello classico di comunità, tutto regole e punizioni. «Serve educare, non controllare», continua la responsabile, «troppe regole portano all?omologazione, invece che alla valorizzazione».

Per questo motivo, «meglio puntare sul rapporto uno a uno». Un rapporto personalizzato che nasce all?ingresso nella struttura, al momento della firma del ?contratto educativo?, in cui il nuovo utente mette nero su bianco i propri obiettivi, che verranno poi riformulati con gli educatori con cadenza trimestrale, per tante volte quante il percorso di ognuno lo renda necessario. «Il contratto è una sorta di autoregolamento, diamo loro fiducia e loro la ricambiano con l?onestà e il saper resistere alle tentazioni», dice Enzo Libéra, 33 anni, uno degli educatori professionali che coordinano i momenti di confronto tête-à-tête e di gruppo, «una volta alla settimana, per un?ora e mezza». A Libéra i ragazzi si rivolgono con costanza, e lui ricambia rompendo qualche schema, «soprattutto nei lavori manuali, a cui spesso partecipo direttamente lasciando che siano i ragazzi a coordinarli».

Che la condivisione crei rapporti profondi ne è convinta Maria, 23enne di origine greca che si trova a Costagrande di passaggio, fuori dal programma di riabilitazione. «Il mio reinserimento l?ho concluso positivamente l?anno scorso, dopo tre anni di permanenza», spiega la ragazza. «Ho trovato un lavoro nel cinema a Roma, vivo con altre ragazze e la droga è solo un brutto ricordo». Maria, cresciuta in una famiglia facoltosa di Atene, è tornata nella comunità sulle colline di Verona per risolvere alcuni problemi personali, «chiedendo consigli a quella che ritengo la mia vera famiglia».

La novità di Costagrande sta anche in questo: chi c?è stato sente il bisogno di ritornare come si ritorna a casa. E non è tutto. C?è Manuel, l?ospite più ?anziano? della residenza, un 44enne padovano a cui il gioco d?azzardo ha rovinato la vita (moglie, casa, lavoro) e che ora riesce a gestire il catering della struttura, («domenica ne avremo 130 a pranzo», dice) percependo anche uno stipendio da Exodus. Poi ci sono tutti gli altri, quelle decine di giovani che dal 2000 ad oggi sono passati da Costagrande e se ne sono andati a testa alta, sconfiggendo la dipendenza. «Risultati alla mano, la nostra comunità è un piccolo gioiello», dice Allegra.


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