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Nuovo Tfr, se prevale la logica della pecora da tosare…

Il nuovo regime del trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti prevede, come è noto, la “suddivisione” fra le diverse possibili destinazioni del Tfr

di Redazione

Il nuovo regime del trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti prevede, come è noto, la ?suddivisione? fra le diverse possibili destinazioni del Tfr: mantenimento della gestione aziendale, come finora avvenuto, ovvero (per aziende con più di 50 dipendenti) gestione Inps, secondo le stesse regole sostanziali, ovvero ancora devoluzione a fondi pensione operanti sul mercato finanziario. E, dall?altro, si stabilisce che se il lavoratore non scelga entro il giugno 2007, il Tfr – ?salario differito?- andrà ai fondi pensione. Irrevocabilmente. Non sembra abbastanza conosciuto, anzi, sembra circondato da scarsissima informazione, il primario profilo della garanzia delle pensioni dei lavoratori. Ora, la forma di gestione attuale, da parte del datore di lavoro (così come quella che sarà affidata all?Inps) è sostenuta da un apposito fondo di garanzia esistente presso l?Inps stesso: fondo che tutela il lavoratore nell?ipotesi di insolvenza dell?impresa. Una garanzia formale, di fonte statuale (legge 29/5/ 82, n. 27), a ?tenuta? assoluta. Viceversa, il conferimento del Tfr in fondi pensione non è attualmente assistito da una altrettanto efficace garanzia.

Il decreto legislativo 252 del 2005 prevede sì che i fondi che gestiranno il Tfr investano nelle linee finanziarie a contenuto più prudenziale, «tali da garantire la restituzione del capitale e rendimenti comparabili al tasso di rivalutazione del Tfr». Ma quel «tali da garantire» esprime solo un affidamento/auspicio, non sostenuto da alcun fondo di garanzia in senso proprio. In poche parole, la disciplina attuale della previdenza complementare non sottrae il ?salario differito? dei lavoratori ai rischi del mercato finanziario.

Mi chiedo allora: e se il Tfr di migliaia di lavoratori venisse gestito da qualcuno di quegli ?investitori istituzionali? che hanno registrato perdite da far impallidire o sono tarati da conflitti di interesse da far arrossire? E se si ripetessero dimostrazioni di tutela del risparmio che diversi vigilantes pubblici hanno offerto, sempre in un recente passato? Alle vittime dei nuovi ?infortuni sul lavoro? risponderemo «it?s the market, baby»?

È opportuno, poi, applicare la regola del silenzio-assenso per privilegiare i fondi pensione? Ed è anzi legittimo, se è vero che nel diritto privato, che regola gli atti di disposizione patrimoniale dei privati, l?istituto del silenzio-assenso non ha cittadinanza se non in ipotesi marginali?

Conclusione: perdurando l?attuale quadro delle garanzie, i lavoratori avranno ragionevoli motivi per non esporsi alle altalene del mercato finanziario. A meno che i più lungimiranti fra gli operatori interessati al successo dei fondi pensione non realizzino, con mezzi propri non dello Stato, un fondo di garanzia di pari capacità protettiva rispetto a quello istituito presso l?Inps. La previdenza integrativa dovrebbe essere non solo un business, ma soprattutto uno strumento al servizio degli investimenti e dello sviluppo. Ma decollerà solo se il lavoratore non si sentirà pecora da tosare. A proposito: perché i ?pastori? non lo informano di quanto sopra?


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