Famiglia
Perché non vinca la giustizia show
«Mentre ci si divide tra colpevolisti e innocentisti, chi ha a cuore la correttezza delle indagini e il dolore dei bambini?»...
Mi è capitato di essere intervistato da un giornale nazionale sul caso Rignano Flaminio. Sebbene abbia espresso una posizione di cautela, che mi sembra necessaria e doverosa tanto più in una fase ancora iniziale delle indagini, mi sono ritrovato in una schiera di innocentisti e colpevolisti. Come se esprimere dei dubbi sia di per sé schierarsi da una parte o dall?altra.
Questa è l?ottica con la quale i quotidiani e le televisioni affrontano fatti gravi come l?abuso dell?infanzia. Prima che l?inchiesta sia conclusa, prima che siano fatti tutti i controlli e che si sia arrivati davanti al giudice, il processo per i media è già stato celebrato, è concluso. Perché si è trasformato in un fenomeno mediatico sorretto dalla ipersemplificazione, dalla spettacolarizzazione: come in un reality tutti – esperti e non, competenti e non – sono chiamati a esprimere la loro opinione. Ed è su questa messe di opinioni, non tutte qualificate per di più, che il processo mediatico si celebra. Con la sentenza emessa quasi che si dovesse far uscire qualcuno dalla ?casa?. Reality, appunto. Perdendo di vista il fatto, i suoi protagonisti, le sue vittime, le loro sofferenze. Contribuendo a diffondere un indistinto effetto alone che fa dire a ciascuno: «Il paese degli orchi potrebbe essere anche il mio». Con la conseguente lacerazione del tessuto sociale, con il prevedibile clima di sospetto che non è controllabile proprio perché generalizzato. Effetto alone, appunto.
I riflettori sono puntati non sul tema (di cui pure si dovrebbe parlare, ma in modo serio e qualificato) ma sulla singola storia, chiedendo pareri e valutazioni su elementi ancora in divenire, scatenando così un?attenzione particolare e suscitando emozioni senza però veramente farsi carico del dolore e del disagio. Ma questo modo di condurre il racconto non si limita a mettere fra parentesi le sofferenze profonde (e le necessarie iniziative atte a sostenerle). Enfatizza come definitive ricostruzioni parziali della verità, costruite magari con brandelli di informazioni. Un grande calderone nel quale una lacrima in più diventa una notizia.
Ben altro dovrebbe essere l?atteggiamento di fronte a un tema così serio. Anziché dividersi fra colpevolisti e innocentisti – nessuno conosce bene la vicenda, mancano degli elementi oggettivi – quello che serve è la prudenza. Una prudenza consapevole, seria, ponderata. Tutti dovrebbero avere a cuore la correttezza delle indagini, il rispetto delle procedure con cui viene condotta. Un interrogatorio va fatto nei modi giusti, rispettando certe condizioni. Altrimenti si corre il rischio che non abbia valore, che non possa essere incluso fra gli elementi del processo. Mi chiedo: il rispetto anche formale delle procedure ha a che vedere con la tutela dei minori? Certo. Se non si raccolgono i dati in modo corretto, le testimonianze possono essere impugnate ed è più difficile arrivare a pene certe. E se le pene non sono certe, si ha un fallimento grave del nostro sistema di protezione dei bambini.
Quindi occorre da una parte concentrarsi sulle indagini specifiche, raccogliere elementi e prove, cercare di fare chiarezza nella confusione e contaminazione ambientale che si sono con ogni probabilità avute anche a Rignano Flaminio. Ma non c?è solo l?aspetto giudiziario che peraltro avrà i suoi tempi, piuttosto lunghi. C?è anche e soprattutto l?aspetto umano, che mi sta più a cuore: individuare l?origine delle sofferenze, di un disagio profondo e collettivo; farsene carico evitando che le persone coinvolte siano travolte da una dimensione spettacolare e trascinate sotto i riflettori.
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