Famiglia

Mamma/ Intervista a Pietro Barcellona

«Probabilmente solo le parole delle mamme sono ancora parole piene». Lo dice in questa intervista uno dei maggiori pensatori italiani. Che invoca il coraggio della passione...

di Giuseppe Frangi

Vita: Sono passati quasi 20 anni da quel suo libro famoso, Il ritorno del legame sociale. Eravamo all?indomani della caduta del muro. Sembrava che il modello occidentale non dovesse più avere avversari sulla scena della storia. Lei invece mise subito in guardia, contro i nuovi fondamentalismi del denaro e del diritto. A vent?anni di distanza che bilancio fa?
Pietro Barcellona: Quel processo è continuato, in particolare nella cultura, che ha non solo rescisso i legami con qualsiasi contenuto fondativo – la giustizia ad esempio -, ma anche con tanti ideali più modesti. Ha vinto il nichilismo ufficiale e la cultura si è adagiata su questo deprezzamento dei valori della coscienza. Il risultato è che stiamo scivolano sempre più verso una forma di individualismo debole, di narcisismo. Siamo incapaci di vivere la dimensione del tempo perché ostaggi di una presentificazione senza contenuto.

Vita: Eppure lei in quel libro aveva prefigurato un ritorno del legame sociale. Vuol dire che è accaduto tutt?altro?
Barcellona: Ero partito da una constatazione esperienziale: io insegnavo ai ragazzi del primo anno di università e sulle loro facce scorgevo una disperazione, un disagio che non sapeva prendere parola. Era un?incapacità di stare insieme, di costruire progetti anche banali. Avevo la sensazione che fossimo giunti a una sorta di capolinea e che per forza si dovesse ripartire con la scoperta di nuove forme di relazionalità. Che doveva riapparire un rapporto umano a tutto tondo. Perché con l?89 non aveva perso solo il comunismo?

Vita: In che senso?
Barcellona: è stato sconfitto tutto ciò che nel Novecento ha rappresentato un legame di solidarietà, non solo quell?ideologia che, come aveva detto Ingrao, aveva promesso la luna. Ha vinto l?individualismo liberale. Ma solo in teoria, perché quell?individualismo non è in grado di reggere il peso del mondo. Mi aspettavo che esplodesse, ma l?offensiva culturale e politica che l?ha sorretto è stata molto potente.

Vita: In questo quadro però è cresciuto anche un fenomeno nuovo: il volontariato. Come se lo spiega?
Barcellona: Non voglio enfatizzarlo, ma anch?io ne sono rimasto colpito. La mia è una biografia da dirigente comunista e da docente universitario che si è sempre alimentato sul terreno della realtà. Entravo nei quartieri popolari, avevo bisogno di mantenere questi rapporti con le persone vere. E, viceversa, so cosa significa perdere questi terreni: la cosa che mi ha più pesato nell?evoluzione della sinistra in questi anni è stata proprio la perdita di questo senso di umanità. Ora ho ritrovato questa dimensione in alcune esperienze di volontariato, in particolare ce n?è una di un mio amico prete a Bassano, l?Associazione Macondo, a cui sono molto legato. Sarò alla loro festa a fine maggio.

Vita: Che cosa la colpisce?
Barcellona: Che si genera un legame, che non si agisce in modo politico. Vedo che lì si genera qualcosa di nuovo capace di unire, su un piano anche affettivo.

Vita: Bertinotti ha detto che tra gli errori della cultura comunista c?è quella di non aver capito il comunitarismo. è d?accordo?
Barcellona: No, questa volta non sono d?accordo con il mio amico Bertinotti. Dire che il comunismo ha sbagliato è come dire che tutto il Novecento ha sbagliato. In realtà si è trattato di un?idea che si è insediata con una fantasia onnipotente nello spazio della politica. Aveva una sua nobiltà seppur terribile e anche mostruosa. Mi ha colpito che Sergio Romano, pochi giorni fa, ricordando i misfatti di Stalin, scriveva che questo personaggio terribile esprimeva però un grande disegno. Nel comunismo c?è stato il sogno di sfidare il processo naturale della storia, di costruire una soggettività umana in grado di reggere ai problemi dell?esistenza e all?angoscia della morte. Di fronte a tutto questo il comunitarismo mi sembra una ricetta soft. Oggi ci vuole qualcosa d?altro.

Vita: Ad esempio?
Barcellona: La riscoperta del sacro. Ci vuole qualcosa che irrompa nella storia con la forza dirompente della messa in discussione dello stato di cose esistente. Nel volontariato qualcosa del genere lo scorgo. Ma è solo un seme. Va coltivato con cura.

Vita: Qualcosa che irrompa nella storia: è la dinamica del cristianesimo. Un Dio che si fa uomo?
Barcellona: In effetti in questo periodo ci sto molto pensando. Mi hanno aiutato i libri di Maria Zambrano, una grande pensatrice spagnola. Anche il libro di Julia Kristeva sul bisogno di sacro mi ha molto colpito. Quando si arriva al deserto dei tartari il sacro ricompare.

Vita: Come idea o come esperienza?
Barcellona: Come esperienza. Non è certo un fattore programmabile.

Vita: A proposito di legami con la realtà. Lei nelle settimane passate ha difeso gli studenti di Catania che avevano chiesto ai loro professori di poter affrontare a scuola le grandi questioni della vita. Una richiesta semplice che ha incredibilmente sollevato scandalo tra i docenti. Perché lei ha rotto il fronte?
Barcellona: Ma la scuola non può essere il luogo dove si descrivono le posizioni in modo asettico. A scuola si elaborano desideri e passioni. Il problema è più degli insegnanti che degli studenti, che pongono una questione del tutto condivisibile: anni fa ho scritto un libro, Le passioni negate, in cui cercavo di capire perché dopo il Novecento gli uomini avessero tanta paura ad appassionarsi, e il grande sforzo comune fosse quello di neutralizzare, davanti alle cose, la passionalità. Ora quegli studenti hanno espresso una grande passione: quella di capire che senso ha la loro vita, davanti a fatti tragici come quello accaduto davanti allo stadio di Catania. In questo modo hanno messo a nudo una debolezza del mondo adulto. Perché ribattere che su queste cose ci vuole neutralità è un grande sbaglio. Chi insegna deve rischiare un proprio punto di vista. è l?apertura all?altro che garantisce la laicità, non il vecchio paravento della neutralità.

Vita: Attorno a una domanda di senso si possono costruire legami sociali?
Barcellona: Sì, perché il resto è puro calcolo. Il resto è intelligenza calcolante che abbiamo in comune con gli animali. Le formiche costruiscono alla perfezione il loro formicaio e lo fanno sulla base di un?intelligenza naturale selettiva. Noi invece abbiamo bisogno di senso, perché non siamo saturi. Siamo un essere mancante di qualcosa, come dicevano i filosofi del passato.

Vita: Nel suo ultimo libro lei scava dentro un altro fenomeno che tocca la vita dell?uomo di oggi: lo svuotamento delle parole. Ovvero la parola ridotta a elemento solo funzionale. Non è strano che questo accada nel momento in cui c?è la massima libertà di parola?
Barcellona: Ma la parola non è un segno che si lancia in uno spazio. è un segno che si rivolge a un?altra persona, ha bisogno di un ?tu?, della fisicità di un rapporto. La comunicazione è una relazione completa e la parola è lo strumento che esprime tutto della persona che la pronuncia. Oggi invece accade che la parola non rimandi ad altro che a se stessa.

Vita: C?è un altro richiamo a un fondamento del cristianesimo in quel che lei dice. L?inizio del Vangelo di Giovanni: «E il Verbo si è fatto carne»?
Barcellona: Mi pare di sì. è un brano che mi ha sempre suggestionato. C?è stato un tempo in cui la parola si è fatta carne. Oggi invece la parola si è del tutto sciolta da ogni responsabilità verso il corpo, il sangue, la materialità della vita. Probabilmente solo le parole delle mamme sono ancora parole piene.

Vita: A proposito. In Scozia è stata diffusa una direttiva secondo la quale nelle strutture sanitarie non si devono usare le parole ?mamma? e ?papà? per non ledere i diritti dei bambini che non hanno o mamma o papà. Hanno indicato come parole sostitutive ?guardian? e ?tutor?. Che ne pensa?
Barcellona: A volte mi chiedo se ci si renda conto di quel che si sta facendo. Papà e mamma non sono solo realtà concrete, sono incarnazioni di simboli essenziali per l?orientamento e la crescita di una creatura. Designano una condizione affettiva che apre uno spazio mentale. Sono un simbolo di cooperazione: quella che si mette in atto tra un uomo e una donna per avere un figlio.

Vita: Anche se oggi questa cooperazione non è più strettamente necessaria?
Barcellona: è un fatto che mi riempie di paura. Mi sembra una questione grave. Non ci rendiamo conto che tutta la nostra storia, dalla tragedia greca a Shakespeare, è vissuta sulla dialettica dei sentimenti all?interno del gruppo famigliare, anche nei suoi aspetti terribili. Che ora questo luogo venga distrutto, che la si sottragga all?incontro tra un uomo e una donna, è un fatto di cui non misuriamo le conseguenze. La famiglia non è una dimensione naturale. È una grande istituzione sociale, che ha permesso uno sviluppo dell?Occidente sulle dinamiche affettive e profonde. Si può cambiare, ma si deve esser consapevoli che si esce da questa storia.

Vita: Eppure anche a sinistra si affronta questo tema senza aver presente quel che c?è in gioco. Come lo spiega?
Barcellona: La sinistra sul tema dei diritti civili sta subendo l?egemonia del pensiero laico in modo assurdo. Nessun grande leader del passato ha mai avuto un atteggiamento anticlericale e antifamiglia. Ricordo semmai un certo puritanesimo su questi temi. Ricordo un grande scrupolo nel valorizzare la fedeltà coniugale, anche a rischio di un po? di retorica.

Vita: Lei nel libro fa tanti riferimenti appassionati a Pasolini. In quello che stiamo vivendo vede il disegno di un Potere o semplicemente siamo su un piano inclinato?
Barcellona: è un?alternativa troppo netta. Non c?è un disegno perché non c?è un grande vecchio. Ma non è neanche un processo innocente, perché ci sono gruppi che hanno interesse a gestirlo. C?è una logica di sistema che si sposa con interessi personali, di gruppo. C?è un?élite transnazionale che ha interesse a ridurre i popoli in una condizione di ebeti.

Pietro Barcellona 71 anni, è nato a Catania dove ancora vive e insegna Filosofia del diritto. Ha avuto una lunga militanza politica, culminata con l?elezione per le liste del Pci nel 1979. Tra 1976 e 1979 è stato membro del Csm. Tra i suoi libri più importanti: Diritto senza società. Dal disincanto all'indifferenza (Dedalo 2003), Le passioni negate. Globalismo e diritti umani (Città aperta, 2001)


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