Volontariato

E ora non resta che dividere l’Iraq

Le ipotesi politiche per uscire dal disastro: lo Stato sciita a Bassora, quello sunnita a Bagdad e i curdi a Nord

di Fabrizio Tonello

Dall?invasione del marzo 2003 gli Stati Uniti non sono riusciti a creare né un governo legittimo, accettato da tutto il Paese, né un esercito o una polizia degni di questo nome. Il compito di combattere la resistenza ricade sulle truppe Usa, circa 140mila, che subiscono una media di 60-100 morti al mese, oltre dieci volte tanto i feriti. Le vittime irachene sono semplicemente innumerevoli: le stime oscillano tra 60mila e 600mila morti. L?amministrazione Bush giura che continuerà a combattere «fino alla vittoria» ma è palese che non c?è alcuna vittoria in vista. Una guerriglia disposta a sopportare forti perdite umane, che riceve rifornimenti di denaro e armi dall?estero e che gode di un consenso, anche minoritario, tra la popolazione, semplicemente non può essere sconfitta. Se a questo si aggiunge che gli iracheni dispongono almeno di alcune centinaia di potenziali kamikaze, che potranno continuare ad operare anche nell?eventualità di una scomparsa, o quasi, delle azioni di guerriglia vere e proprie, si capisce che l?opzione militare semplicemente non c?è. Il governo al-Maliki potrà rafforzarsi a sufficienza per restare al potere in caso di ritiro americano? Difficile: le sue unità di polizia si dissolvono appena formate, i suoi soldati disertano con le armi dopo aver ricevuto l?addestramento e la prima paga. La vera tragedia è che, anche nell?ipotesi che prima o poi gli americani se ne vadano, nel quadro di un accordo regionale con la collaborazione di Siria e Iran (difficilissima ma non teoricamente impossibile da ottenere) la pace non ritornerebbe a Bagdad. In Vietnam, il regime comunista pacificò il Paese, sia pure al prezzo di migliaia di boat people che cercarono scampo nella fuga via mare, temendo la prigione o la morte per aver collaborato con gli Stati Uniti. In Iraq, sciiti e sunniti continueranno a spararsi addosso anche dopo la partenza dell?ultimo marine. La settimana scorsa, a Bagdad, scuole, moschee e autobus delle due comunità sono stati bruciati in una serie di vendette interetniche. Questa situazione non è solo colpa degli americani: l?Iraq fu costituito artificialmente dagli inglesi dopo la prima guerra mondiale, mettendo insieme tre province dell?impero ottomano che non avevano nulla in comune. Risalendo indietro nel tempo, l?ostilità fra sunniti e sciiti è sfociata in conflitti armati in molte occasioni. Ma la realtà è che oggi le decisioni su come far cessare questa immane tragedia devono essere prese a Washington. Probabilmente, per far evolvere la situazione, coinvolgere Siria e Iran sarebbe davvero utile ma questi Paesi non hanno nessuna fretta di togliere le castagne dal fuoco per gli Stati Uniti, che a tutt?oggi li minacciano di bombardamenti se continuano nella politica seguita fin qui. Supponendo che i diplomatici prevalgano in entrambi i campi, l?idea di una divisione dell?Iraq è probabilmente l?unica sensata. Il Nord curdo è poco toccato dalla guerra e ha importanti giacimenti petroliferi a Mossul, quindi sarebbe ben felice di andarsene per la sua strada. Gli sciiti sarebbero contenti di creare una loro repubblica islamica con sede a Bassora e, probabilmente, quelli di loro che oggi vivono a Bagdad preferirebbero trasferirsi fra i loro confratelli piuttosto che restare in un regime sunnita. Resta da vedere come si potrebbero convincere i sunniti ad accettare una soluzione che li penalizzerebbe doppiamente: prima perché metterebbe fine alla loro dominazione storica sull?intero Paese e poi perché il centro dell?Iraq non ha petrolio e quindi sarebbe uno stato economicamente non autosufficiente, senza sbocchi al mare. Poiché oggi il nerbo della guerriglia è fatto di ex militari o nuove reclute sunnite, senza ipotizzare qualche forma di compensazione raggiungere una tregua sarebbe probabilmente impossibile. Non è una prospettiva di breve periodo, non è una soluzione che possa piacere a qualcuno. Ma almeno indica una direzione verso cui andare, un?ipotesi che potrebbe essere esaminata. L?alternativa è una tragedia che duri altri vent?anni. Vedi anche: Iraq: il disastro umanitario


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