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Congo, il trionfo di Kabila

Dopo giorni di scontri armati nell’est e una tensione alle stelle nella capitale, la vittoria proclamata di Kabila sembra riportare il paese alla normalità

di Joshua Massarenti

La Corte Suprema della Repubblica democratica del Congo ha respinto ieri il ricorso di Jean Pierre Bemba, concedendo la vittoria a Joseph Kabila nelle elezioni presidenziali. ”La Corte ha raggiunto il suo verdetto, dichiarando che le accuse di Bemba sono infondate. La corte dichiarera’ Joseph Kabila vincitore”, ha annunciato Desire Baere, portavoce della Commissione Elettorale Indipendente. La sicurezza era stata rafforzata a Kinshasa in attesa del verdetto sui risultati ballottaggio dello scorso 29 ottobre, ma al momento non si sono registrati incidenti. Kabila, vincitore con il 58% dei voti, s’insediera’ in dicembre. Si concludera’ cosi’ il processo democratico che ha messo fine alla guerra civile nel Congo, dopo un periodo di governo di transizione nel quale Kabila ricopriva il ruolo di presidente e Bemba quello di suo vice. In futuro, storici ed eseperti ricorderanno elezioni presidenziali senza fine e piene di insidie. In ballo c?era la fine di un?era segnata da sei anni di guerra regionale tra le più sanguinose che l?Africa ricordi (nove gli Stati coinvolti e un groviglio di milizia straniere e congolesi i cui scontri e razzie provocarono tra il 1998 e il 2003 quasi quattro milioni di vittime) e una transizione triennale (2003-2006) al termine della quale il Congo doveva organizzare elezioni generali per dotarsi ex novo di nuovi organi rappresentativi (i primi scelti per vie democratiche nella storia del paese). Nelle ultime 72 ore, il clima politico in Congo si era fatto tesissimo. In realtà, la tensione risaliva al 15 novembre scorso dopo che la Commissione elettorale indipendente (Cei) aveva diffuseoi risultati parziali delle presidenziali attribuendo la vittoria a Kabila con il 58% delle preferenze. Dopo i primi appelli alla calma, lo sconfitto Jean-Pierre Bemba ha iniziato a contestare i risultati: “Non posso accettare questi risultati che sono lungi dal riflettere la verità espressa dalle urne? ha detto Bemba in un messaggio trasmesso il 17 novembre sui canali radiotelevisivi congolesi. ?Prendo l’impegno di sfruttare tutte le vie legali per far rispettare la volontà del nostro popolo?. Sembra che i suoi sostenitori abbiano invece deciso di contestare il voto con altri mezzi. Il 22 novembre successivo infatti sono scoppiati scontri violentissimi nella capitale fra i falchi di Bemba e le forze dell?ordine. Già nell?agosto scorso, i miliziani di Kabila e di Bemba avevano trasformato la capitale in un vero e proprio campo di battaglia provocando 23 morti. Per fortuna questa volta non ci sono stati feriti. Non così è stato nell?est del paese, dove da sabato sono in corso a Sake, nel nord Kivu, scontri armati tra l?esercito regolare appoggiato dai caschi blu della Monuc (Missione Onu in Congo) e soldati congolesi dissidenti fedeli al generale Laurent Nkunda. ?Dei combattimenti oppongono dal 25 novembre elementi dell?11ma brigata integrata contro unità non integrate dell?81ma e dell?82ma brigate delle Forze armate della Repubblica democratica del Congo nei dintorni di Sake, 27 chilometri a nordovest di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu? ha dichiarato la Monuc. Il bilancio, in attesa di aggiornamenti, è di otto morti. Stamane, la stessa Monuc si è resa protagonista di intense offensivi aree che le hanno consentito di riprendere il controllo di Sake. Le violenze erano esplose dopo che un congolese di origine ?tutsi? (la stessa etnia a cui appartiene Nkunda) era stato ucciso da un poliziotto nel corso di un banale controllo di identità. Lo stesso Nkunda aveva minacciato di difendere (militarmente) i suoi fratelli tutsi nel caso in cui questi ultimi sarebbero stati minacciati. Al di là dei fatti contingenti, è necessario ampliare l?orizzonte politico della vicenda congolese e guardare quanto sta accadendo oltre confini. In molti dovranno prendere atto che le violenze esplose in queste ultime ore nel Nord Kivu sono opera di un generale (Nkunda, per l?appunto) noto per la sua affiliazione al regime rwandese del presidente Paul kagame. Quest?ultimo è stato uno dei grandi protagonisti della guerra regionale che si è svolta in Congo nella seconda metà degli anni ?90. Tutti ricorderanno l?occupazione delle truppe di Kigali sul suolo congolese per sradicare la presenza di milizie estremiste rwandesi hutu sospettate di aver partecipato al genocidio risalente al 1994 in cui estremisti hutu avevano massacrato un milione di persone, in stragrande maggioranza tutsi. Ora, tra gli episodi che avviarono il genocidio anti-tutsi in Rwanda fu l?abbattimento dell?aereo dell?ex presidente hutu Juvénal Habyarimana il 6 aprile 1994. Sino ad oggi, nessuno ha saputo stabilire con certezza chi fosse stato l?autore dell?attentato. C?è chi ha sempre accusato un golpe militare interno alla fazione degli hutu estremisti (alla quale apparteneva lo stesso Habyarimana), c?è chi invece ha puntato il dito contro il presidente rwandese Paul kagame, allora leader ribelle del Fronte patriottico rwandese (oggi al potere), accusandolo di aver sacrificato un milione di persone per vincere la guerra che lo opponeva alle truppe di Habyarimana. Tra questi, c?è il giudice antiterrorista francese Jean-Louis Bruguière, autore di un rapporto esplosivo reso pubblico la scorsa settimana e in cui si accusa l?entourage di Kagame di essere colpevole della morte di Habyarimana. Peggio, Bruguière ha dichiarato di volersi rivolgere al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per tradurre Paul Kagame in giustizia presso il tribunale penale internazionale per il Rwanda (tribunale istituito nel 1994 per processare i pianificatori del genocidio e i principali responsabili dei massacri perpetrati in Rwanda nel corso del 1994). La notizia è stata salutata dall?autorevole quotidiano Le Monde come opportuna per fare chiarezza su quanto è accaduto in un episodio fondamentale del genocidio rwandese. Tuttavia, poche ore fa, il medesimo giornale, in possesso del documento completo stilato dal giudice Bruguière, ha rivelato ?un cumulo di errori sconcertanti?. Al di là delle ripercussioni che avrà il rapporto sul lungo termine, già da i primi giorni della sua pubblicazione si può emettere un?ipotesi altrettanto ?sconcertante? su quanto sta accadendo nel breve termine. Infatti, sin dall?accordo di pace siglato tra Rwanda e Congo nel 2002, Paul Kagame aveva chiaramente lasciato intendere alla Comunità internazionale che il ritiro delle sue truppe dal territorio congolese avrebbe comportato la sospensione di qualsiasi iniziativa giuridica nei confronti suoi e più in generale del Fpr. Qualora il patto fosse stato rotto da parte dei protagonisti occidentali (Francia, Usa e l?ex colone belga su tutti), allora il ritorno dei soldati rwandesi in Congo sarebbe dato per scontato. Ora, nonostante la fragilità del processo elettorale congolese, non si può non rimanere stupiti dal fatto che la ripresa degli scontri nell?est del paese (iniziati per giunta da un generale congolese da sempre fedele a Kigali) coincida con la pubblicazione del rapporto anti-Kagame di Bruguière. Ancora una volta, è necessario che giustizia sia fatta per onorare la memoria delle vittime del genocidio, ma c?è da chiedersi quale sia stato il vero scopo della Francia nell?intera vicenda. E? chiaro che Bruguière non ha agito d?impulso, così come appare evidente che qualcuno, tra l?eliseo e i servizi segreti francesi, gli ha dato il via libera per colpire il regime rwandese, a sua volta protagonista negli ultimi mesi di un?inchiesta nazionale contro la Francia per ?presunta? complicità nel genocidio rwandese. Lo scontro tra Parigi e Kigali rischia di far saltare l?intero processo elettorale congolese, una scommessa sulla quale la Comunità internazionale ha investito oltre 500 milioni di dollari (per non parlare del miliardo di dollari spesi ogni anno dalle Nazioni Unite per i 17mila caschi blu presenti in Congo dal 2000). Mon président Chirac, ne valeva proprio la pena?


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