Sostenibilità

Il clima cambia in fretta, i negoziati vanno a rilento

Rimandato all’anno prossimo l’avvio della discussione sul secondo round del Protocollo di Kyoto. Così, nonostante il duro monito di Annan, si è sprecata un’occasione...

di Redazione

Il cambiamento climatico va molto più veloce degli strumenti che la comunità internazionale sta mettendo in campo per fronteggiarli, ma il Protocollo di Kyoto resta l?unico strumento (vincolante) dal quale partire per condividere gli obiettivi di riduzione dei gas serra che la comunità scientifica ci indica. Nonostante le dure parole di Kofi Annan, o forse proprio a conferma dell?atto d?accusa del segretario generale delle Nazioni Unite a Nairobi, di fronte a 100 ministri dell?Ambiente (il mondo soffre di una «spaventosa mancanza di leadership» nella lotta globale al cambiamento climatico, che è «ormai una delle principali minacce alla pace e alla sicurezza», alla pari di «conflitti, povertà e proliferazione delle armi») il vertice Mondiale sul clima (COP 12) non ha tracciato con decisione la strada per il futuro degli impegni per combattere i mutamenti climatici. In sostanza, le 189 nazioni riunite a Nairobi hanno deliberato che i Paesi oggi vincolati al taglio delle emissioni cominceranno l?anno prossimo a discutere del secondo periodo di azione del Protocollo di Kyoto, in modo da assicurarne la sopravvivenza anche dopo il 2012. Poi, nel 2008, anche i Paesi in via di sviluppo cominceranno a confrontarsi sulla possibilità di porre restrizioni alle loro emissioni di CO2 (ma a condizione di non avere impegni vincolanti). Infine, è stata approvata la proposta del segretario generale dell?Onu, Kofi Annan: l?istituzione di un fondo per facilitare il flusso di investimenti in energie rinnovabili anche in Africa. Anche se, sottolinea il WWF, il livello dei fondi stabiliti resta ben lontano da quanto servirebbe ai Paesi in via di sviluppo per affrontare i problemi sociali e ambientali provocati dai mutamenti climatici. Stati Uniti e Australia restano su posizioni molto distanti, mentre in Europa arrivano passi più incoraggianti: da Gran Bretagna, Francia e Germania, che si sono imposti target di riduzione delle emissioni di anidride carbonica molto severi – il 30% al 2020 – e dall?Italia che ha mostrato di aver cambiato registro rispetto al governo precedente. Un accordo che fa fare un piccolo passo avanti nella giusta direzione per iniziare formali negoziati nel prossimo round di tagli di emissioni di CO2 che iniziano nel 2007, ma non è stata colta l?opportunità di prendere decisioni per più drastiche riduzioni di emissioni post 2012. Alcuni governi hanno riconosciuto che le emissioni globali hanno bisogno di essere ridotte del 50% per il 2050 ma su questo il negoziato non è arrivato a tanto. «I nostri leader devono riconoscere ora che le prove scientifiche mostrano la necessità e la pubblica opinione chiede azioni più forti di quanto raggiunto a Nairobi», ha detto Hans Verolme, direttore del Programma globale sui cambiamenti climatici del WWF Internazionale. «Nairobi fornisce una sufficiente piattaforma per successivi colloqui, ma il WWF continuerà a fare pressione per affrontare la sfida dei cambiamenti climatici che, se procederanno al ritmo attuale, diventeranno sempre più pericolosi. Il prossimo vertice in Indonesia nel 2007 sarà l?ultima occasione per i governi per iniziare veri negoziati per significativi tagli e per tenere la crescita della temperature globale sotto la soglia dei 2 gradi». Non c?è un percorso e delle tappe chiare per la riduzione della CO2 dopo il 2012, quando terminerà il primo periodo di azione del Protocollo di Kyoto. Con la conseguenza che il mondo delle imprese non ha certezze, nonostante si stia affermando un mercato del carbonio che attende segnali per svilupparsi. «Vogliamo stigmatizzare la mancanza di ambizione da parte dei negoziatori, in particolare nel concordare tappe precise per la strada che dovrebbe portare al Kyoto Plus. Non si può trattare come ordinaria amministrazione un fenomeno che mette a rischio il pianeta come lo conosciamo. Il Kenya, con un milione e 800mila rifugiati ambientali a causa delle alluvioni, ci ha lanciato un monito che, purtroppo, non è stato colto in tutta la sua drammaticità», ha detto la responsabile Campagne internazionali del WWF Italia, Mariagrazia Midulla.


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