Non profit

Airc, senza oneri per lo Stato

Lotta al cancro: I numeri dell'associazione di ricerca. Storia di un successo raggiunto senza un soldo dal pubblico

di Benedetta Verrini

L?organizzazione: staff leggero e due milioni di soci

È come un Golia fatto di tanti piccoli Davide, Airc. Finanzia il 40% di tutta la ricerca oncologica italiana attraverso migliaia di rivoli quasi invisibili, donazioni medie da 20 euro, che alla fine fanno più di 40 milioni l?anno. Ha quasi due milioni di soci donatori, una struttura operativa ?leggera? da 60 dipendenti e una base di 30mila volontari. Molti di loro, magari gli stessi che incontriamo ai banchetti di piazza per la distribuzione delle azalee o delle arance, stanno vivendo in prima persona il problema della malattia. Si trovano in cura, eppure vogliono restare in prima linea a promuovere l?associazione e i suoi traguardi di ricerca.

Fin dalla sua origine, quarant?anni fa, Airc ha fatto la scelta di autofinanziarsi e non far dipendere la propria ricerca dallo Stato. Per questo, in questi giorni di Finanziaria e di dibattito sul 5 per mille, osserva un po? dall?esterno la ?piega? che prenderà il sostegno pubblico alla ricerca. «Ma non senza preoccupazione, certo», commenta Maurizio Savi, direttore generale di Airc. «Perché il rischio di un progressivo arretramento dello Stato, per noi, è quello di faticare sempre più, con le sole nostre forze, ad assicurare la sopravvivenza di progetti strategici».

Nella homepage del sito dell?associazione si alternano i volti degli scienziati che lavorano ogni giorno per sconfiggere il cancro. «Un modo per dire che dietro a ogni scoperta, a volte anche difficile da spiegare ai non addetti ai lavori, c?è una persona, una professionalità che s?impone ogni giorno di raggiungere l?eccellenza, c?è la storia di un uomo o una donna che non contano su un posto di lavoro sicuro ma stanno lavorando per tutti noi», prosegue.

Per questo la Giornata nazionale per la ricerca sul cancro, il 24 novembre, rappresenta per Airc «più un momento di formazione e cultura che di raccolta fondi in senso stretto», prosegue Savi. «L?informazione è per noi una mission istituzionale, lo strumento per comunicare come abbiamo investito le risorse, favorendo l?incontro diretto tra pubblico e ricercatori».

Un patto di fiducia che evidentemente dà i suoi frutti: Airc è stata indicata da più parti tra le realtà preferite, per il settore della ricerca, nell?opzione del 5 per mille. «Non siamo ancora in grado di verificarlo», dice Savi. «Ma certo per noi rappresenta una grande investitura di responsabilità. Ed essendo un canale ?aggiuntivo? di risorse, ci offre anche la possibilità di finanziare quei progetti che, pur meritevoli, ogni anno restano esclusi dal budget».

La ricerca: tecnologia e scommessa ‘glocal’

«Il nuovo millennio ci ha portato una conquista straordinaria: la decifrazione del genoma umano. è dai geni, dalla connessione tra un guasto del gene e il tumore, che si fonda oggi la ricerca di Airc. Per questo siamo molto ottimisti: perché la tecnologia ci permette di fare passi che fino a 10 anni fa erano impensabili». Maria Ines Colnaghi, direttore scientifico di Airc, sa bene che la battaglia contro il cancro è fatta di grandi spartiacque: «Quarant?anni fa, quando siamo partiti», dice, «non esisteva ricerca oncologica in Italia. Nessuno osava nemmeno pronunciarla quella parola, cancro. Oggi siamo a un livello di guaribilità del 50-60%, che per alcuni tumori, come quelli nei testicoli dei giovani, i linfomi di Hodgkin, sale quasi al 100%. La diagnostica molecolare, più di quella clinica, sta diventando la chiave per la nostra battaglia».

Certo, restano problemi molto importanti da risolvere, come quello di gran parte delle terapie in uso, che sono sistemiche e danno ancora molti effetti collaterali. «Ma i ricercatori puntano sempre più ad arrivare a una cura specifica per il singolo ?guasto? genetico», spiega la dottoressa, «in modo che la terapia contro il cancro arrivi sempre più ad assomigliare a quelle in uso per le malattie croniche».

Questi ?approcci mirati? sono la nuova frontiera varcata da Airc, che ha investito in cinque piattaforme tecnologiche (quattro di oncogenomica e una di bioinformatica), «perché la velocità nell?elaborazione dei dati e la globalizzazione della ricerca sono l?unica strada per mappare i geni responsabili dell?insorgenza del tumore», prosegue. Le piattaforme, dislocate lungo tutta la dorsale italiana (Piemonte, Lombardia, Lazio e Campania), sono in uso contemporaneamente a diversi gruppi di ricercatori. Costano dai 2,5 ai 3 milioni di euro l?anno, con un investimento che Airc si è impegnato a portare avanti per i prossimi cinque anni.

Ma è solo una delle strategie di sostegno alla ricerca che l?associazione conduce: alla base ci sono anche i (quasi 400 l?anno scorso) singoli progetti di ricerca. «Li selezioniamo secondo un rigido protocollo», spiega la Colnaghi, «dove la meritocrazia è il concetto primo e assoluto. La valutazione è affidata a revisori stranieri e italiani, ed è necessaria per comporre una graduatoria su cui poi verranno assegnati i fondi. Purtroppo non sempre il budget a disposizione ci consente di ?coprire? tutti i progetti candidati e giudicati ottimi. Gli approved but not funded restano in lista e si cerca di recuperarli negli anni successivi».

E dal 2004 Airc ha inaugurato anche una strategia territoriale: i ?progetti regionali?, dove una cordata di ricercatori propone una ricerca che interessa particolarmente il territorio in cui vivono, o sviluppa un?eccellenza maturata in ambito locale. «Così in Puglia, vista l?incidenza di epatite c, si sta studiando il tumore del fegato», esemplifica la Colnaghi. «In Sicilia c?è un?équipe impegnata sui tumori ematologici; in Veneto su quelli del colon. Nelle regioni in cui mancavano i laboratori e i supporti tecnologici necessari, abbiamo finanziato borse di studio mirate per giovani ricercatori. Questi progetti, finanziati dai comitati Airc regionali, si sviluppano nell?arco di un triennio. L?anno prossimo ne faremo un bilancio, ma non nascondo che la maggior parte sta già dando risultati molto positivi».

Se la ricerca procede così spedita, chiediamo, come mantenere alto il livello del sostegno dei cittadini? «Uno studio europeo del 2005 ha rivelato che negli Stati più evoluti i privati sentono il ?dovere morale? di sostenere la ricerca», risponde la Colnaghi. «E l?Italia non fa eccezione. Anzi, si trova in seconda posizione, dopo l?Inghilterra, per contribuzioni private alla ricerca oncologica. Perciò mi auguro che questa propensione continui e che diventi sempre più un ?volano? per lo Stato, che si deve occupare del quadro complessivo della ricerca medica, e dunque ha bisogno del privato, di associazioni di grande esperienza, in grado di approfondire e indirizzare sempre più gli studi verso l?eccellenza».

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