Welfare

Chiedo all’Italia un atto di perdono

«Aprire le porte ai detenuti condannati a piccole pene, depenalizzare i reati minori, mettere mano alla riforma del codice penale. Si avrà questo coraggio?»

di Riccardo Bonacina

Tavernuzze è un paese piccolo piccolo a pochissimi chilometri da Firenze. Adriano Sofri attende qui, in una casa in campagna voluta quando ancora non aveva rinunciato a far progetti sul proprio futuro, l?ennesimo atto di una vicenda giudiziaria iniziata esattamente il 28 luglio del 1988 quando dopo oltre 16 anni di buio investigativo, fu arrestato con l?accusa di essere il mandante dell?assassinio di Luigi Calabresi. Il prossimo 20 ottobre la Corte d?Appello di Venezia inizierà a valutare l?istanza di revisione di un processo che ha già conosciuto sei lunghissimi estenuanti e contraddittori riti. Ma non è per parlare della sua vicenda processuale che siamo venuti a trovare Adriano Sofri costretto, dall?ordinanza del tribunale a un derisorio domicilio coatto (gli è vietato uscire dai confini del Comune), a stare in casa tra libri e amici. Siamo da lui come esperto di giustizia e d?ingiustizia (ma in questo Paese non sono troppo spesso la stessa cosa?); lui ha vissuto gli effetti di un procedimento fatto su misura di pentito, sa cosa sia una giustizia che giudica dopo vent?anni, ha provato i tempi infiniti del processo all?italiana, lui, detenuto famoso, che non s?è sottratto alle domande e ai bisogni di tanti altri carcerati. Questo settimanale ha scritto e documentato molto sui meccanismi e sugli effetti della giustizia italiana, abbiamo cercato di sorvegliare le ricadute di un dibattito pretestuoso e spesso odioso sulla pena su chi sta in carcere. Quasi tre anni di carcere vissuto in prima persona e spesso facendoti carico anche dei problemi di compagni sconosciuti. Com?è cambiato il carcere? È meglio, è peggio? Di tutte le istituzioni esistenti il carcere è la più conservatrice, è un luogo di sepoltura e quindi di conservazione. Una specie di frigorifero sociale. Il carcere ha la tendenza a conservare se stesso con una forza di inerzia incomparabile con quella di altre istituzioni. Cos?è cambiato mi chiedi. Userò per risponderti un dettaglio, perché il demone carcerario si appiatta davvero nei dettagli. Si tratta di un esempio, se vuoi, abbastanza comico. Quando io sono rientrato in carcere quest?ultima volta, nel febbraio ?97, feci un articolo sulle ?domandine?, cioè su quei moduli che devi compilare per fare o avere qualsiasi cosa, dal dentifricio a una scatola di tonno, al fare una telefonata. ?Domandina? è già una parola che rivela nella sua stessa forma l?infantilizzazione e la deresponsabilizzazione di chi è soggetto a farle, ma si chiamavano così anche nelle lettere di Gramsci. Il modulo dice, ?il detenuto prega….?, e io nell?articolo sollevai il problema del perché dei cittadini, seppure dimezzati nelle loro facoltà, dovessero ?pregare? non essendo dei sudditi di un monarca di diritto divino, e non potessero, invece, semplicemente chiedere. Inaspettatamente il Ministero dispose subito che fosse cambiato il modulo delle domandine e sullo stampato venne scritto ? Il detenuto richiede…?. Forse, successe anche grazie a Coiro persona inesperta di carcere ma forse per questo con un occhio più forestiero e scandalizzabile. Ora, circa sette mesi, fa in tutte le galere italiane sono ricomparse le ?domandine? con su scritto ?prega?. Può darsi che il Ministero avesse un arretrato di moduli per cui con un inatteso senso di economia domestica li voglia finire, oppure, più probabilmente, che passato il momento dell?attenzione tutto torna come prima. Insomma, il carcere tende a ritornare sempre nella situazione precedente, tende a ibernare qualunque tentativo di cambiarlo. Tu sai che noi abbiamo una finestra aperta ogni settimana sul carcere e mi pare incontestabile che due anni fa l?attenzione ai diritti dei detenuti fosse ben maggiore. Non c?è stato anche un arretramento culturale esterno al carcere, un arretramento della società prima ancora dell?istituzione? È un problema che riguarda tutte le emergenze (che parola imbecille!) del nostro mondo: c?è una sproporzione assoluta fra le esigenze imposte dai singoli problemi, dal loro merito reale, e il contesto generale di assoluta demagogia che impedisce di affrontare quei problemi nella loro realtà. Ma nel caso del carcere, quindi della giustizia e della delinquenza, la sproporzione tra l?incompetenza demagogica (in buona o cattiva fede) della discussione pubblica e la necessità di affrontare i problemi è gigantesca. Tanto è vero che in pochi settori come in questo, ordine, sicurezza, pena, giustizia, trovi altrettanto numerosi tecnici che sono enormemente più aperti che non gli opinionisti o i politici, non perché abbiamo posizioni morali o filosofiche o politiche aperte, ma perché, semplicemente, sono costretti a vedere i guasti del sistema. Finché si continua a usare il termine giustizia si resta del tutto al di qua del problema (lasciamo perdere poi la nozione derisoria di ?giustizia giusta?!), il vero spettacolo a cui tu assisti continuamente in carcere non è lo spettacolo della carenza di giustizia, non è la mancanza di qualcosa, ma è uno spettacolo di pienezza assoluta, il carcere è gremito di ingiustizie. Non bisogna lamentarsi della mancanza di giustizia, bisogna constatare il pieno di ingiustizia. La galera è in assoluto un luogo che non lascia spazio alla giustizia, è il luogo in cui l?ingiustizia è persino efficiente. Non sto dicendo che tutti sono innocenti (ce ne sono) ma parlo dell?ingiustizia sostanziale del modo in cui la stragrande maggioranza delle persone finisce in galera e di come è trattata lì. Intanto è una giustizia amministrata all?ingrosso, pressoché tutti i detenuti che io ho conosciuto sono dentro per altro che per quello che hanno davvero commesso. Il trattamento carcerario travolge poi completamente ogni intenzione di giustizia. In questi due anni e sette mesi la cosa che è peggiorata di più è stata questa specie di rancorosità e sentimento pubblico sobillato, questa fortissima demagogia delle autorità istituzionali di ogni genere e di quelle politiche in primo luogo. Questa sfuriata estiva sull?assalto della delinquenza è stato solo l?episodio culminante, il delirio. Non solo i toni esasperati ma anche la demenza della falsificazione della realtà anche da autorevolissimi addetti ai lavori. Insomma, vedo le cose peggiorate non perché sia peggiorato l?atteggiamento degli addetti al problema, che forse sono semplicemente scoraggiati, ma, è vero, è peggiorato il clima. Pensare che siamo alla vigilia del Giubileo…. A proposito: il 2 agosto, festa del perdono di Assisi, pensavo fosse una data importante anche in previsione del Giubileo e rispetto a quanto il Papa ogni tanto dice sulla remissione dei debiti, il condono. Perciò avevo pensato di scrivere una lettera e indirizzarla al Papa. E l?ho anche scritta, non riguardo la mia posizione tengo a precisare. Scrivevo ringraziando il Papa per i suoi appelli e i suoi inviti cercando di testimoniare come il pellegrinaggio a vanvera che fanno i detenuti andando avanti e indietro per il cortile doveva in qualche modo essere riscattato. Parlava di questo strano pellegrinaggio, chiedeva di riscattare questo camminare infinito e senza senso chiamandolo pellegrinaggio. Vedi, quello dei detenuti è uno dei pellegrinaggi più sinceri. Quella lettera l?ho scritta ma non spedita, perché il clima di cui parlavamo diceva che non era più possibile neppure provarci e che sarebbe stata letta come una provocazione. Puoi immaginare quanto questo tema del condono sia atteso in carcere. Senza che ci siano state modifiche sostitutive, l?istituto che era magari vergognoso o troppo frequente delle amnistie o degli indulti è stato interrotto ormai da nove anni che è un tempo molto lungo per una giustizia così ingiusta. Dal ?90 non è più avvenuto non solo perché questa demagogia, che pagano i pesci piccoli o piccolissimi o disperati, ha imperversato ma anche perché persino legalmente è diventato difficilissimo farlo. Oggi votare un indulto richiede i due terzi dei voti, una maggioranza superiore a quella che serve a modificare la Costituzione, è un eccesso di zelo da parte di chi ne aveva abusato. Eppure anche in questo clima bisognerà dare una risposta all?ininterrotta e quotidiana domanda dei detenuti per la gran parte neppure cristiani che mi chiedono, perché presumono che io sia informatissimo, ?ma non danno niente??, oppure ?Daranno qualcosa??. Per loro, in gran parte mussulmani, doveva essere scontato che il 2000, il Giubileo ?desse? loro qualcosa. Invece, ecco, sembra quasi scontato che il 2000 e il Giubileo possa loro togliere anche quello che non hanno. Certo che la sinistra su questi temi ha battuto in ritirata. Certo, anche le autorità preposte subiscono questa pressione demagogica. Vedi il caso Diliberto a cui avete dedicato molta attenzione, lui non è andato lì con intenzioni forcaiole, anzi ha commesso l?errore di spendere parole troppe magnanime (abolizione dell?ergastolo, diritti dei detenuti, sesso in carcere, ecc), dopodiché non solo ha dovuto battere in ritirata ma è ricaduto in quella posizione politica tipica di chi dice che la sinistra che vuole governare deve sbrigarsi a fare lei le cose che farebbe la destra, altrimenti viene scavalcata. Torniamo al Giubileo. Certo che l?appello del Papa non ha suscitato nessun dibattito in questo Paese. Penso che le stesse cose che il Papa dice siano fuori gioco. Ci sono posti del mondo in cui succedono cose importanti sul versante della riconciliazione e conciliazione, l?Italia che ha conti molto meno salati da pagare ricambia questo vantaggio relativo con un livore osceno. Pare che questa nostra età sia l?età dei risentimenti, del livore. Quasi tutti i fenomeni più significativi successi in Italia negli ultimi anni mi pare abbiano questa cifra. La Lega, Tangentopoli, la disubbidienza fiscale o l?accanimento fiscale. È un livore sociale che incattivisce un Paese ben oltre la soglia dei problemi materiali che potrebbe giustificarlo. Peccato, no? Siamo un Paese ricchissimo e quasi felice. Ecco, il Giubileo mi sembrava una buona idea, un?occasione per dire ?Italia fai la pace?. Sulla giustizia in Italia il Giubileo potrebbe promuovere un atto di perdono, di pacificazione e di riconciliazione che, forse, lascerebbe nella sostanza le cose come sono, ma certo allieverebbe una condizione di sofferenza davvero pesante e drammatica. La nostra società ha bisogno di cambiare strada, ha bisogno di conversione nel senso religioso e anche laico. Ha bisogno di capirlo e di non vergognarsene. Ha bisogno di riflettere su se stessa e di recuperare sentimenti nobili come il pentimento che è stato prostituito nella sua parodia pubblica e giudiziaria. Ha bisogno di trovare strade vere per uscire da una corruzione morale fortissima, una corruzione cui sino ad oggi si è risposto con una parodia giuridica che ha riprodotto gli stessi meccanismi della corruzione. Ecco il Giubileo potrebbe e dovrebbe essere una occasione in questo senso, un segno della pace che la società si scambia per ritrovare se stessa e le ragioni della propria convivenza. Hai fatto esperienza del segno della pace in carcere durante la messa? Ci sono le guardie e i ladri, l?infame e l?infamato, e succede davvero qualcosa. È un?esperienza che tutti dovrebbero fare. Il Giubileo potrebbe essere occasione di condono per quelli che scontano piccole pene? Far uscire i detenuti certo, ma anche fare degli atti forti. Per esempio mettere mano alla riforma del codice penale, alla riforma della gerarchia dei reati, con la conseguente depenalizzazione di alcuni. Solo in questa riforma può essere compresa una conseguenza pratica della consapevolezza che hanno gli esperti che l?automatismo del rapporto tra sanzione per una trasgressione penale e reclusione corporale è una assurdità se non nei casi in cui sia resa necessaria dal pericolo pubblico. Questa cosa che tutti capiscono può essere recuperata non con pezzi di legislazione parziale ma con la riforma dell?intero codice. Noi andiamo avanti con la novellistica del codice, la Gozzini, la Simeone, ecc. Poi, bisognerebbe modificare profondamente il rapporto tra magistratura giudicante e magistratura attendente all?esecuzione delle pene che oggi è un rapporto tra padrone e servo. Infine andrebbe modificato il regime nelle stesse carceri a partire dalla tutela dei detenuti, istituendo figure che rappresentino questa tutela. Magari dei giovani studenti in legge che possano andare nelle galere e fare da consulenti di quella enorme quantità di detenuti che l?avvocato non ce l?ha o che purtroppo ce l?ha (non dimentichiamo le grandi colpe degli avvocati, non solo dei magistrati, c?è chi delinque per poter pagare gli avvocati). E se non si ha la forza per fare delle riforme si facciano almeno dei gesti simbolici, per esempio nominate Sergio Cusani commissario ad hoc per il problema del lavoro in carcere. Oppure concedete più spazio al volontariato. Mentre nella società c?è un?avanzata della quota sociale gestita in proprio dalle persone, in carcere è il nulla. Quello che può fare un volontario per bene cui fosse concesso un po? di spazio è incredibilmente vasto e oggi viene ostacolato in maniera mostruosa. Ecco, in questi tre anni questa sproporzione è cresciuta. Si è privilegiato l?apparato custodiale, la sua pervasività quasi paranoica. Nel ?97 ti sei consegnato dicendo ?voglio creder a questa giustizia?. Avevi ragione? Ho detto ?voglio fare come se ci credessi?. È stata una questione di principio. Qualunque cosa succeda, e penso nulla di buono, tutto quello che è già successo eccede qualunque riparazione. È una partita in cui il bilancio è del tutto definito. Vedi, è necessario continuare a battersi ma nello stesso tempo non ha nessun senso farlo. Questo è la cosa più sgradevole della mia situazione. È una battaglia che faccio perché lo devo ai miei, ai miei amici di oggi e di quel tempo, ma so che questo coincide con il buttare via la mia vita. È una pura dissipazione, senza nessun guadagno. La relazione del Parlamento. Penitenziari: tutte le cifre della vergogna Se le nostre carceri sono «sovraffollate» e «pullulano di emarginati» è anche colpa nostra. Colpa della società «distratta» nei confronti di una realtà «scomoda, difficile ed inquietante che è meglio dimenticare». Ad esprimere questo giudizio sferzante sono i deputati del Comitato permanente per i problemi penitenziari al?interno della Commissione Giustizia della Camera, che dopo un anno e mezzo di viaggi e audizioni hanno prodotto una relazione sullo ?stato dell?arte? del sistema penitenziario in vista della programmata (dal governo) Conferenza nazionale sulla condizione carceraria. I problemi, sottolineano i 13 onorevoli, sono tanti: da una sbagliata concezione del carcere come luogo che plachi il risentimento della società, alla situazione del trattamento. E non potrebbe essere altrimenti, dato che il rapporto educatori-detenuti è al suo minimo storico (1 a 160), il lavoro carcerario «non è mai decollato» (1 detenuto su 4 lavora, ma soltanto il 3% all?esterno), il livello dei centri sanitari penitenziari è inferiore alle necessità (e intanto si tagliano i fondi alla sanità penitenziaria del 30%), le risposte dei magistrati di sorveglianza alle richieste di benefici sono «intempestive» (arrivano cioè quando il detenuto ha già finito la pena), i centri di servizio sociale gestiscono «con grandi difficoltà» le misure alternative. Che fare, dunque? I deputati invocano la riforma, che è già in cantiere con uno stanziamento di 227 miliardi. Soldi con cui assumere educatori e psicologi, garantire incentivi alla polizia penitenziaria e al personale. In attesa della più generale riforma dell?ordinamento penitenziario, che affronterà questioni ?calde? come l?architettura delle celle, la sanità in carcere, le madri detenute, il lavoro, l?affettività familiare. Il testo completo della relazione è disponibile sul sito Internet di Vita: www.vita.it/dossier Le opinioni di… Franco Corleone: amnistia e riforma vanno insieme Parlare di amnistia e di indulto è sempre un po? ?pericoloso?, poiché questi argomenti rischiano di diventare oggetto di polemica meramente politica. Ritengo che un?ipotesi di amnistia generale per i piccoli reati, sulla spinta di esigenze di pacificazione collettiva che vengono dal Giubileo, possa essere giustificata e avere una sua legittimazione. Tuttavia credo che sia importante anche sottolineare che non sempre questo tipo di esigenza è compatibile con le necessità dello Stato e della politica giudiziaria. La possibilità di un?amnistia va vista solo, secondo me, nell?ottica della riforma della giustizia, in particolare nella definizione della figura del giudice unico. In questo caso, potrebbe essere utile far partire le riforme senza appesantimenti che vengono dal ?passato?, tagliando, per così dire, i rami secchi. Attenzione, però, a parlare di amnistia per i reati amministrativi, compresi quelli legati a Tangentopoli. Questo, infatti, è un problema delicato che va sottoposto a precisi distinguo e che non può essere accomunato ai piccoli reati comuni. Se pensiamo a reati come corruzione, concussione e falso in bilancio, bisogna ricordare che le pene previste in questi casi vanno dai cinque agli otto anni. Ben al di fuori, dunque, dal tetto massimo di quattro anni, che permette di ottenere l?amnistia. Unica eccezione può essere costituita dal reato di finanziamento illecito ai partiti. Ritengo, comunque, che la premessa da cui partire sia sempre la riforma della giustizia. L?amnistia ha senso solo, e Sofri mi pare ben sottolinearlo, se è un atto conseguente ad una svolta legislativa. Non può prescindere da essa. In caso contrario, si correrebbe il rischio di negare non solo la certezza della pena, ma anche quella del diritto, mettendo in gioco la credibilità del nostro Paese. In ogni caso, il tema della Riforma e quello dell?amnistia per i piccoli reati vanno inseriti subito nell?agenda politica. sottosegretario al ministero di Grazia e Giustizia. Don Antonio Riboldi: la Chiesa farà la sua parte ?Che il Giubileo sia un?occasione?, dice Adriano Sofri facendo eco al Papa. Un?esortazione che raccolgo volentieri perché il Giubileo è riconciliazione, è ritorno alla casa del Padre, è possibilità di scoprire e vivere un?umanità nuova. Ogni uomo, ognuno di noi, deve ritrovare la capacità di amare e, quindi, di perdonare. È questo il fondamento del Vangelo: la misericordia è il cuore della paternità, e di ogni società che non sia contro l?uomo. Riconciliazione è riconoscere le proprie colpe e perdonare quelle altrui e nessun ambito può essere escluso da questo abbraccio, nessun ambito e nessun uomo. Il Giubileo è quindi un cammino di conversione che riguarda tutti, sia i detenuti sia chi amministra la giustizia e le carceri. Come rendere possibile questo? Sofri lancia delle idee, delle proposte. Io dico: ?aprite il cuore a chi ha bisogno di cuore?. Il Giubileo chiama i detenuti a rivedere la propria vita, li chiama a una conversione, ma chiama anche la struttura carceraria (e chi ne tiene le redini) a chiedersi se la vita, la mentalità, le azioni dentro il carcere portano a questa revisione o se la respingono. La Chiesa ha allargato all?infinito la partecipazione a questo Giubileo non solo rendendolo possibile a Roma e nelle cattedrali di tutto il mondo, ma anche attraverso gli atti di carità. E allora perché i responsabili della Giustizia, con un atto di generosità tipicamente giubilare, non danno un segnale ai detenuti di voler rendere effettivamente possibile questo recupero ad una umanità nuova, ad una umanità che, magari, non hanno mai conosciuto, non hanno mai sperato? Umanizzare il carcere vuol dire cambiare la mentalità, ritornare a quando sancito dalla Costituzione: il carcere come luogo di recupero. Non solo quindi luogo di sconto della pena, ma di recupero dell?uomo alla bontà della vita; non repressione, ma redenzione. E come fare ciò? Adriano Sofri riconosce quanto un buon volontario possa far rifiorire questa umanità. E io dico: ?aprite le porte del carcere alla società?. Aprire il carcere all?esterno, al rapporto con i volontari, al lavoro con le cooperative. Far entrare la società dentro le mura di questo mondo perché possa conoscere, amare, perdonare e, quindi, rendere possibile la redenzione sollecitando l?uomo a ritrovare la bontà persa. Io sono certo che la Chiesa farà sentire la sua voce perché il Giubileo nelle carceri sia vissuto così, perché l?uomo può cambiare se scopre un?umanità diversa. vescovo di Acerra Pietro Folena: sì ma a precise condizioni Nella storia, soprattutto recente, del nostro paese si è abusato delle amnistie, che sono così diventate un mezzo periodico per mettere una pezza sulla drammatica crisi della giustizia, sulla incapacità del sistema giudiziario di rispondere ad ogni esigenza elementare del diritto. Troppe amnistie, anche ogni due o tre anni, come è accaduto in Italia negli anni scorsi, sono un?assurdità. Tuttavia, il senso civile e politico della proposta di Adriano Sofri non mi sfugge, anzi credo sia interessante non solo per l?enorme valore che ha il Giubileo nella società italiana – e anche nelle coscienze di molti detenuti e delle loro famiglie – ma anche perché credo potrebbe essere l?occasione adatta per approvare definitivamente alcuni provvedimenti sulla giustizia che sono da qualche tempo all?esame del Parlamento. Sono provvedimenti di riforma del sistema penitenziario e dell?ordinamento che potranno veramente garantire quell?equilibrio necessario tra le garanzie dovute a chi è sottoposto al regime carcerario e la sicurezza dei cittadini. Forse il 2000 può essere la data non solo simbolica ma pratica per portarli a termine. L?idea poi di una riforma del codice penale mi trova completamente d?accordo. In Italia, è vero, discutiamo troppo di procedura e poco di pena, del significato sociale della pena e della sua esecuzione. Quindi su questo terreno sono aperto al dialogo, anzi mi sento di appoggiare questa idea di una riforma del codice penale. Ciò però non significa che sono pregiudizialmente contrario all?amnistia per il Giubileo. Eccezionalmente, visto che siamo alla svolta del millennio, l?amnistia per i reati di lieve entità si potrebbe fare. Ma non senza lo sblocco delle altre riforme. Altrimenti il sistema non cambierebbe. responsabile Giustizia per i Ds


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