Cultura
Non si spara sulla scuola
Emergenza giovani: la scuola è lanello debole del sistema, che cosa si può fare per aiutarla? Tre scrittori insegnanti raccontano il loro punto di vista
Per rendere l?idea Marco Lodoli, insegnante appassionato ancor prima che scrittore (insegna Lettere in una superiore della periferia romana), racconta sempre questo episodio. Un giorno, entrato in classe, voleva interrogare una sua allieva su un racconto di Maupassant letto il giorno prima. Lei alza il muro del rifiuto. Lui le chiede perché: «Forse non hai studiato? Pensi di essere più pronta domani?». E lei: «Non voglio soffrire neanche un minuto: ma nessuno vuole più soffrire. Non se n?è accorto professore?». «Il fatto è che i ragazzi sono l?avanguardia del tempo», spiega il prof scrittore. «Da loro ci arriva il messaggio più nitido e crudele, quello che ci costringe a riflettere sul centro della questione». E qual è il centro? «Che siamo deboli. Che ogni piccola salita ci mette in difficoltà. Che andiamo avanti a furia di pasticche che abbattono l?ansia. Che abbassiamo ogni giorno l?asticella degli obiettivi».
Quindicenni in fuga
Dice così Lodoli, ma intanto, ogni mattina è lì, in prima fila nella trincea della sua scuola. Lo sguardo di quei ragzzi lo avvince e lo appassiona. Di lasciarli al loro destino, lui scrittore affermato proprio non ci pensa.
Eppure tra i ragazzi e la scuola il disamore cresce. «I giovani sono delusi dalla scuola e non ne percepiscono il valore etico, né vedono la scuola come strumento per crescere e capire il mondo, se stessi e gli altri. Il 38% degli studenti quindicenni non desidera altro che abbandonare la scuola», annuncia il sito più frequentato dai professori, Tuttoscuola.com. E Lodoli ammonisce: «Agli occhi dello studente stravolto la scuola appare come una perdita di tempo, dove si imparano cose inutili. è semplicemente il contrario della bella vita che ognuno sogna per sé».
Portare un ragazzo a capire che cosa ci faccia lui sul banco di scuola è diventato ancora più arduo che non insegnargli Hegel. Quando ci si mette, ci si accorge che tutto il mondo rema contro.
Come conferma con efficacia anche un po? brutale un?altra insegnante scrittrice, Paola Mastrocola. «La Finanziaria ci chiede di bocciare un po? di meno. Ma chi si rende conto del messaggio che passa ai ragazzi? Vorrei ringraziare personalmente lo Stato a nome di tutti gli adulti che pensano di avere una funzione educativa nei confronti dei giovani, figli o studenti che siano. Grazie per aiutarci in questo compito così elevato e delicato».
Il governo, lo Stato lavora contro, dice senza mezzi termini. «Per me anche l?indulto e il decreto sugli spinelli sono spiazzanti. Quelle scelte sono anche messaggi che arrivano ai ragazzi. E noi ce ne accorgiamo. Come pensate che si possa educare alla legalità un ragazzo davanti a messaggi così contradditori? Per noi insegnanti o genitori imporre qualche piccola e desueta norma di condotta diventa un?impresa, visto che se io dico che è meglio non drogarsi poi l?istituzione dice il contrario».
La confusione in cattedra
I ragazzi si accorgono di questa debolezza. Percepiscono la confusione educativa che regna intorno a loro. E per loro sfuggire ad ogni controllo è un gioco. La maggior parte degli episodi finiti sulle pagine dei giornali in queste settimane, sono avvenuti all?insaputa dei professori. La conseguenza è facile da trarre: il professore incapace di tenere sotto controllo la situazione diventa una figura ancora più debole. Che è facile raggirare. Se ne sono accorti gli insegnanti della scuola media di Nova Milanese, dove una professoressa era stata colta intrattenersi in atteggiamenti spregiudicati con alcuni suoi allievi. I suoi colleghi hanno protestato per l?informazione fatta dai media sull?episodio, la cui dinamica è ancora da chiarire. Il collegio dei docenti ha approvato un documento di forte critica dei «moltissimi servizi» il cui scopo «era quello di mettere a segno uno scoop, di sollecitare una curiosità morbosa, senza alcun rispetto per i minori e per la scuola, la cui tutela è apparsa essere l?ultima delle preoccupazioni dei giornalisti». E l?ultima parola del comunicato suona un po? come un grido di dolore: «Chiediamo rispetto».
E hanno ragione, sottolinea Lodoli: «La scuola da sola non può reggere il passo della cultura dominante, è una gara persa in partenza, una gara falsata».
Facciamo un patto
Chi ribalta completamente la prospettiva è Edoardo Albinati, anche lui scrittore. Lui è uno che di giovani se ne intende, essendo padre di quattro figli. Insegna anche lui, ma in una scuola speciale, all?interno del carcere di Rebibbia. «Solo gli studenti possono aiutare un insegnante. I colleghi in genere, se non ostacolano, non aiutano. Le famiglie si dividono in due partiti ugualmente ostili: le famiglie degli insegnanti che detestano la scuola perché la scuola dà pochissimo in termini economici. E le famiglie dei ragazzi che invece scaricano sulla scuola responsabilità che invece toccherebbero a loro. Ogni volta sono sbalordito da ciò che i genitori pretendono dagli insegnanti».
Per Albinati il segreto sta nel patto tra insegnanti e ragazzi: «Il principale risultato a cui punto, pur nella situazione anomala in cui mi sono sempre trovato ad insegnare, è che le ore di lezione siano state degne di esser vissute. Noi dobbiamo riscattare il tempo reale della scuola. Impegnarci in qualcosa che funzioni in quella mattina. Questa è la differenza tra una bella e una brutta lezione. Se poi quel che si è detto o insegnato serve anche al futuro, tanto meglio». Per questo, conclude Albinati, il lavoro di insegnare è il più sfinente che ci sia.
Per aiutare i giovani, bisogna dare loro credito. Chi lo dice è un altro grande conoscitore del loro mondo, anche se con la scuola non c?entra, Ernesto Olivero, il fondatore del Sermig. Dici Sermig e puoi immaginare quel mare di ragazzi che vanno e che vengono ogni giorno in quello che una volta era l?arsenale di Torino. Olivero è arrabbiato per quel che sta accadendo: «è stato sbagliato espellere i ragazzi colpevoli delle violenze al loro compagno down. Io avrei trovato un metodo anche più severo ma più costruttivo. L?espulsione è una scorciatoia, com?è stata una scorciatoia il lassismo che ha permesso episodi di questo tipo». E che cosa avrebbe fatto? «Li avrei costretti a capire che al mondo non ci sono solo loro. Sono persone che devono imparare a stare in comunità, altro che buttarli fuori!»
Per Olivero il vero nemico è il fatalismo dominante. «Ma quali derive! Il problema è che gli adulti devono essere degni di questi giovani. Invece il mondo adulto accende i riflettori solo quando ci sono le emergenze. Le esperienze di costruzione non trovano mai spazio, né come racconto, né tanto meno come modello educativo». E conclude: «O i padri riaprono le porte ai giovani o devono essere consapevoli che l?indifferenza produce guerra».
Per sapere di più:
Marco Lodoli, I professori e altri professori(Einaudi)
Edoardo Albinati, Maggio selvaggio (Mondadori)
Paola Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane (Guanda)
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