Volontariato

Parigi sale, Londra scende

La Francia in quattro anni ha triplicato il numero dei fondi. L’Inghilterra è sempre leader, ma è ad un punto di saturazione. E l’Olanda è il caso modello

di Francesco Maggio

La bufera che da più di due anni travolge i mercati finanziari non poteva non investire anche loro, i fondi di investimento etici. In termini di entità di asset gestiti, innanzitutto. E poi di impoverimento del portafoglio titoli e di scarsa rotazione degli stessi. Per non parlare, evidentemente, dei rendimenti (non di rado, comunque, migliori rispetto a quelli dei prodotti ?tradizionali?). Ma, a dispetto della bolla speculativa, dell?11 settembre, dei vari scandali Enron e della generalizzata carenza di fiducia che attanaglia le Borse mondiali, in Europa il socially responsible investing si dimostra in ottima salute.
Il numero dei fondi è cresciuto significativamente. E soprattutto, si sta rivelando un polmone finanziario indispensabile per lo sviluppo di quelle imprese che operano, per esempio, nel settore delle energie alternative, dell?agricoltura biologica, della tutela dell?ambiente.
È quanto emerge dall?indagine Green, social and ethical funds in Europe 2002, promossa da Csr Europe (network europeo attivo sul fronte della responsabilità sociale d?impresa) ed Euronext (società che gestisce le borse di Parigi, Bruxelles ed Amsterdam), realizzata dall?agenzia di rating Avanzi, membro del Siri Group (Sustainable investment research international). Uno studio giunto ormai alla terza edizione (dopo quella del 1999 e del giugno 2001) che si sofferma, in particolare, su quattro aspetti: il numero di fondi disponibili; le top holdings degli stessi; gli asset gestiti; i trend dei fondi.
Fondi che, per essere presi in considerazione dall?analisi, dovevano possedere i seguenti requisiti: il ricorso da parte dei gestori a ben definiti criteri di screening socio-ambientali per la selezione dei titoli entrati a far parte del loro portafoglio; dovevano essere espressamente offerti sul mercato con la qualifica di ?prodotti di investimento socialmente responsabili?; la loro sottoscrizione doveva essere aperta alla clientela retail (cioè ai singoli risparmiatori e non solo agli investitori istituzionali); dovevano fregiarsi del ?marchio? Uctis (Undertaking for Collective Investment in Transferable Securities), comune a tutti i fondi collocati in Europa. Ma ecco i principali risultati dello studio.

La carica dei duecentottanta
Al 31 dicembre 2001 risultavano operativi 280 fondi etici (tra green e socially), ossia ben il 78% in più rispetto al 31 dicembre del 1999. Si confermano leader nel settore Paesi quali il Regno Unito, la Svezia, la Francia e il Belgio, nel complesso detentori di circa il 68% del mercato dei fondi attivi in Europa. Dal dato disaggregato, tuttavia, emerge un calo piuttosto consistente dell?Inghilterra che in due anni passa dal 33 al 21% mentre il Paese più dinamico si rivela la Francia che in 24 mesi triplica il numero di fondi (da 14 a 43). Come mai? La ragione è presto detta: nel Regno Unito oggi più di 55 istituzioni finanziarie offrono un?opzione socially responsible per i loro investitori e ciò, inevitabilmente, provoca un effetto saturazione. Effetto che invece non riguarda la Francia né, tantomeno, Germania e Italia dove, oltre a registrarsi un significativo aumento dei fondi (passati, rispettivamente, da 10 a 21 e da 5 a 10) è molto ampia l?offerta di prodotti socially responsible ?confezionati? da istituzioni straniere.

Come crescono gli asset gestiti
Per quanto riguarda l?entità degli asset gestiti, questi nel complesso sono cresciuti di ben il 30%, passando dagli 11,1 miliardi di euro del 1999 ai 14,4 della fine del 31 dicembre del 2001. Una cifra di tutto rispetto se si considera, come già accennato, che l?importo non include i portafogli ?istituzionali? e che negli ultimi due mesi del 2001 c?è stato un deflusso di risorse dal comparto di 800 milioni di euro. Inoltre, bisogna aggiungere che il suddetto incremento non è stato sufficiente a far crescere il livello medio di asset gestiti dai fondi. Livello che, al contrario, è calato da 74 a 51 milioni, media che si discosta notevolmente dai 140 milioni dei fondi ?tradizionali?, a testimonianza del fatto che i prodotti finanziari socially responsible, sebbene godano di un consenso sempre più vasto, rappresentano ancora un segmento relativamente limitato dell?offerta (che dimostra di avere, quindi, grandi potenzialità di crescita).
Relativamente ai singoli Paesi, comunque, la parte del leone spetta a Regno Unito, Svezia e Olanda che, insieme, gestiscono il 58% degli asset complessivi. Se a questi, poi, si aggiungono Italia e Belgio, la percentuale balza addirittura all?80%.
Più o meno stabile, infine, la classifica dei migliori prodotti: da giugno a dicembre del 2001 non c?è stata nessuna new entry tra i primi 10 fondi Sri, ma in testa si è verificata un?inversione di posizioni, con il fondo italianoSan Paolo internazionale etico (775 milioni di asset gestiti) che ha ceduto il primato all?inglese Friends Provident Stewardship Unit Trust (919 milioni) e l?olandese ABN Ambro Asset management (463 milioni) che ha scavalcato al quarto posto (per un solo milione di euro di raccolta) il San Paolo obbligazionario etico.

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