Cultura

La dislessia allo scoperto

Non è una disabilità nè una malattia e fino a pochi anni fa nessuno se ne occupava, ma una persona su 20 in Italia soffre di questo disturbo di apprendimento

di Sara De Carli

Pensate ai vostri colleghi. Saranno una ventina, no? Vanno bene anche venti amici, o venti parenti. Venti persone con cui siete a strettissimo contatto. Uno di loro è dislessico. I dislessici in Italia sono il 4-5% della popolazione, che fa circa un milione e mezzo di persone. Quanti bastano per poter definire assurdo il fatto che nessuno fino ad oggi abbia pensato a una tutela specifica per loro. Ma pochi rispetto a Paesi come Gran Bretagna o Francia, dove non hanno la fortuna di una lingua trasparente, che si scrive come si pronuncia. Là i dislessici arrivano al 10-12%. Il nostro 4-5% è un dato che si ottiene per proiezione, assumendo i dati raccolti in Finlandia, altro Paese dalla lingua trasparente. A quella percentuale i finlandesi sono arrivati in base alle diagnosi effettuate, noi no. Noi di dislessici refertati ne abbiamo il 4% solo tra gli alunni delle classi della scuola primaria dell?Emilia Romagna, dove hanno fatto uno screening a tappeto, mentre in Lombardia, per fare un esempio, siamo fermi all?1,6%. In ogni caso, diagnosticato o no, ce n?è almeno uno per classe. Per questo di dislessia si comincia a parlare. E a capirci qualcosa. <b>Quando la ?d? vale una ?t?</b> È intelligente ma distratto, dicevano le maestre quindici anni fa. Non si applica abbastanza, deve fare più esercizio. Oggi chiamano i genitori e suggeriscono una visita specialistica, con il sospetto che sia dislessia: otto bambini su dieci arrivano dal neuropsichiatra su segnalazione della scuola. Un po? perché gli insegnanti sono più attenti (persino alle superiori! Enrico Profumo, neuropsicologo del San Paolo di Milano, presidente della sezione milanese dell?Aid – Associazione italiana dislessia, dice che nell?ultimo anno il 25% delle persone che referta viene da lì), un po? perché sono aumentate le aspettative rispetto alle prestazioni scolastiche dei figli, e quindi di fronte all?insuccesso si indaga. Una pancia, una gamba. P b d g q? i bambini dislessici le usano come se fossero la stessa cosa. Dici ?d? e scrivono ?t?, detti «violino» e scrivono «fiolino». Errori di ortografia, doppie che mancano, girante al posto di tornante, parole che saltano. Nei suoi dieci anni di vita, l?Aid (5mila iscritti e 79 sezioni) si è impegnata soprattutto su questo: diagnosi specifiche e precoci. Per dire addio ai sensi di colpa, ai bambini-giganti che di fronte alle parole diventano lillipuziani, e siccome nessuno alla loro fatica ci crede, si scoraggiano e gettano la spugna. <b>Giacomo Stella</b>, psicologo e presidente nazionale di Aid, paragona il ragazzo dislessico a «un motore senza albero di trasmissione: ha una potenza enorme, ma la disperde». In dieci anni quelli di Aid sono riusciti a far capire che la dislessia è un disturbo specifico dell?apprendimento (non una malattia né un handicap), dalle radici neurobiologiche: da una parte c?è una componente genetica, legata ad alcuni cromosomi (tant?è che c?è solo una femmina dislessica ogni tre maschi), dall?altra una fisiologica, appena scoperta dai ricercatori dell?Ospedale Bambino Gesù di Roma. «Una parte del cervelletto non si attiva quando sono coinvolte le funzioni legate all?automatizzazione», spiega <b>Stefano Vicari</b>, responsabile dell?unità operativa di Neurologia e riabilitazione del Bambino Gesù. «Quindi il dislessico non ha solo problemi legati alla lettura o alla scrittura, ma anche all?orientamento spaziale, alla vista, all?allacciarsi le scarpe, ad attività apparentemente semplici che facciamo automaticamente. Questo ci consente di anticipare la diagnosi di disturbo specifico dell?apprendimento in una fase precedente all?incontro con la scrittura. A quattro anni gli automatismi sono già codificati, per cui possiamo pensare a test sull?apprendimento implicito procedurale o sui tempi di reazione da somministrare già all?asilo. Con un guadagno netto sul recupero e la riabilitazione, la cui efficacia è massima fino alla preadolescenza». Il problema culturale però non è scomparso. Negli stessi giorni in cui <i>Neuroimage</i> pubblicava lo studio del Bambino Gesù, i quotidiani italiani uscivano con tesi opposte: «Dietro la dislessia si nasconde un problema di indipendenza e maturità affettiva, che comporta un?insufficiente espansione dell?organizzazione del pensiero complesso», dice l?istituto di Ortofonologia di Roma. «La scuola deve abbandonare ?l?alibi della causa genetica? e lasciare liberi i bambini di volare con la fantasia». Profumo boccia queste tesi come «un ritorno indietro di vent?anni. È gravissimo. C?è una componente psicologica e relazionale, ma questa non è la causa della dislessia, piuttosto una sua conseguenza. Un bambino che fatica così tanto in una cosa che per i suoi compagni è automatica e per di più viene accusato di essere pigro, diventa insofferente alla scuola, la sua autostima si abbassa, diventa aggressivo». Nella confusione ci è cascata persino la senatrice <b>Vittoria Franco</b>, relatrice al Senato della pdl per il riconoscimento della dislessia come disabilità specifica di apprendimento (<i>vedi sotto</i>), che nello stenografico della prima seduta parla della dislessia come di un fenomeno «legato fra l?altro alle sempre più frequenti adozioni internazionali e alla diffusione del bilinguismo». Un dato definito come «assolutamente infondato» da Stella. <b>Depenalizzare gli errori</b> Il mondo della scuola, il primo a subire l?onda d?urto del fenomeno, si sta attrezzando. Aid è diventata interlocutore ufficiale del ministero dell?Istruzione, ha ottenuto normative ufficiali per la scuola. Gli insegnanti sono più informati («dopo una diagnosi, i genitori non tornano più a dirmi che la maestra ha detto che non è vero», spiega Vicari), anche se la didattica poi è tutta da inventare. A Milano, alla civica scuola Manzoni, dal 2002 esiste il progetto <i>Dislessici alla pari</i>, un?esperienza di punta. Sono partirti con quattro alunni dislessici. Anziché sparpagliarli, li hanno messi insieme, per evitare l?effetto mosca bianca, per facilitare il sostegno reciproco, e anche perché gli insegnanti in questo modo non potevano ignorarli. Oggi sono 26 su dieci classi. «Depenalizzare gli errori è fondamentale », spiega la preside, <b>Antonella Olivieri</b>. «Come parlarne fin dai primi giorni, senza aspettare il primo compito in classe, quando il ragazzino dislessico può usare la calcolatrice e gli altri no. La cosa curiosa è che ogni volta, quando uno racconta le sue difficoltà, c?è qualcun altro che dice ?Uguale a me!?. L?altra cosa da fare è inventare una didattica flessibile, che utilizzi di più i sussidi audio e video, i film, le discussioni, i lavori di gruppo. Una didattica che va a vantaggio non so- lo dei dislessici, ma di tutta la classe». Gli strumenti compensativi si usano eccome, e ci sono anche una serie di portatili che i ragazzini si portano in aula. Il Miur nel 2004 ha avviato un progetto di formazione per gli insegnanti,per avere un referente per la dislessia in ciascuna scuola: nel 2004 e 2005 è partito in Emilia Romagna, Puglia, Sicilia, Lombardia, Veneto, Basilicata, per questo anno scolastico è in corso in Piemonte, Liguria, Toscana, Lazio, Umbria e Abruzzo, mentre l?anno prossimo toccherà alle regioni restanti. <b>Logopedisti come koala</b> Cosa manca allora? Stella e Profumo non hanno dubbi. Aumentare ancora le diagnosi, arrivando fino agli adulti. Perché siccome c?è una componente ereditaria, moltissimi genitori di oggi scoprono di essere dislessici solo quando la diagnosi viene fatta ai loro figli. «E non immagina il sollievo. Mi dicono: ?Pensavamo di essere scemi, invece siamo solo dislessici». Per farcela, servono più specialisti: chiamando il dottor Profumo per una visita, una voce registrata dice che con il sistema sanitario nazionale ci sono undici mesi di attesa e un ticket di 46 euro, mentre per una ?visita urgente? i mesi sono ?solo? due e gli euro 200. L?altro anello debole è quello della riabilitazione: per Profumo «i logopedisti sono come i koala, una specie in via di estinzione». È anche per quello che sul 4-5% di popolazione italiana con dislessia, oggi ne è seguito solo lo 0,9%. Effifa l?Italia. www.dislessia.it www.interdys.orgwww.dislessia.org/forum/ Vedi anche: Quando consultare uno specialista ‘Sparoliamo in tutte le classi’ Meno compiti, niente tabelline. E premi alla originalità È in arrivo una legge Nasce una banca dati. Ma senza l’Italia


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