Cultura

A Palermo si parla cull’occhi

L'attore Davide Enia porta in scena i 'cunti' della sua città, di Chiara Cantoni

di Redazione

Nessuna folgorazione sulla via di Damasco, nessuna fantasia attoriale, solo la sana incoscienza dei 25 anni e una cotta fortunata: Davide Enia, classe 74, entra in scena per amore di una donna – «uno dei motivi più nobili per iniziare qualcosa» – e da sette anni a questa parte incanta le platee d?Europa con puro ritmo narrativo made in Sicily. Tradotto in sette lingue e vincitore di tutti i principali premi teatrali, il fuoriclasse palermitano si prepara a un nuovo gol con Studio#1, appena presentato in anteprima nazionale al Pim Spazio scenico di Milano. Vita: Quanto conta la sicilianità nel tuo lavoro? Davide Enia: La sicilianità poco, la palermitanità tutto. C?è un abisso fra il capoluogo e le altre città dell?isola. «Palermo capitale con Napoli, il resto periferia dell?Impero», e non è solo un modo di dire. Lo comprendi nella struttura del dialetto, una polivalenza ritmica sfasciata in vere e proprie strutture narrative: la sceneggiata, la canzone, il ?cunto?, il teatro dei Pupi. La complessità del gergo palermitano riporta la stratificazione linguistica delle diverse dominazioni, sviluppando, oltre alla semplice espressione fatica della parola, quella integrante del gesticolare, al punto tale che «a megghio parola è chidda c?un si rici»: a Palermo si parla ?cull?occhi?. Vita: Un dialetto che è anche visione? Enia: È uno sguardo, lo sguardo della città sul balordo quotidiano, la taliàta di mio padre, il piglio di santa Rosalia che vigila dal monte Pellegrino. Palermo è una città che abitua subito al contrasto: lusinga col mare ma orienta con le montagne, i cunicoli più stretti si aprono improvvisamente su ampie piazze, piazze che contengono in un colpo 1400 anni di architettura; le zone d?ombra hanno anch?esse una parvenza di luce, mentre la luce ha sempre un manto d?ombra. Di giorno, Palermo vive nei mercati, nelle voci, nei colori, pare una casbah; di notte, vive nel silenzio, nelle lampare dei pescatori, nel cielo sempre stellato per via dello scirocco e della tramontana. Vita: Una città orgogliosa, ma ferita? Enia: Una città che porta ancora i segni del bombardamento e li esibisce con sincerità sfacciata. Il centro storico è il più grande d?Europa, sebbene sia stato raso al suolo nel maggio 1943: apparentemente è elegia dello sfacelo, in realtà è ostentazione schietta delle proprie vergogne, non ammette mezze misure: chiede che si prenda posizione. Magari semplicemente stando, nell?immobilità del rimanere, che in Sicilia è prendere posizione più di ogni altra cosa. Ma Palermo è anche il Palermo, la squadra rosa-nero, è mio padre che abbraccia i miei fratelli, sono le ossa dei palermitani emigrati in giro per il mondo, che «pigghiano caccagnate in bocca» per la loro provenienza, è l?orgoglio dei figli del Mezzogiorno: «sugno palemmitano». E poi, c?è quel livello di comprensione, di incontro e scontro col reale che sta dentro alle parole, quelle che il dialetto mette in bocca per nominare e battezzare il mondo, suoni che precedono il significato e che sono visceralmente e inequivocabilmente figli di quel ventre che è Palermo. Vita: Quasi una geografia spirituale? Enia: In questo preciso momento, più che un luogo fisico Palermo riesce a diventare un luogo dell?anima. Seppure riportato con dovizia di particolari, in Maggio 43 il fatto storico trascende la cronaca. Non mi preoccupo di cosa possa uscire dal palcoscenico, il mio lavoro è simile a quello dell?entomologo: osservo, analizzo, cesello, limo i suoni e i movimenti con estrema precisione. Eppure, è talmente derelitto e ferito questo nostro presente, con una tale voglia comunque di riscatto, che forse, oggi, il capoluogo siciliano riesce a spiegarlo. Succede che luoghi fisici arrivino ad avere l?anima della contemporaneità: ecco, ora Palermo sembra una città contemporanea. Info: www.davideenia.org

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