Non profit

Osas e una chimera chiamata Italia

Un mese fa avevamo chiesto ai nostri lettori di raccontarci esperienze di immigrazione raccolte da loro sui territori ... qui ne pubblichiamo una

di Riccardo Bonacina

Osas mi racconta la sua storia in un tranquillo pomeriggio. Io sono un estraneo ma lui, probabilmente, ha voglia di parlare con qualcuno. L?ho incontrato lungo la strada che porta verso la stazione. Oggi Novara mi sembra ancora più triste del solito. Il suo magnifico aspetto ingannerebbe chiunque: alto, longilineo, forse troppo magro, ma molto bello, con il suo abito tradizionale azzurro cielo e il suo sorriso bianco. Mi guarda stupito, ma mi racconta di sé, della sua vita. Quando inizia a parlare quel velo di bellezza che lo protegge si scioglie e lo sguardo triste, che trapela da un paio di occhiali da vista, che ancora conservano l?adesivo sulle lenti, rivela una forte malinconia. «Vengo dalla Nigeria e sono un clandestino», spiega, «qui lavoro come volantinista, ma ho fatto anche il muratore e sono stato a Napoli a raccogliere i pomodori». Sostiene di essere felice in Italia e dopo un paio di domande racconta il suo lungo viaggio verso la terra promessa. «Quando sono partito dalla Nigeria, due anni fa, a casa mia non si poteva più stare. Non c?era neanche da mangiare. Così un giorno ho deciso di partire a piedi. Ho raccolto quattro cose per il viaggio, soprattutto alimenti, e mi sono messo in cammino. Il viaggio è stato molto duro, soprattutto nel deserto. Ho attraversato il Niger, il Mali, l?Algeria e il Marocco. Lungo il percorso ho incontrato alcune jeep che, in cambio di denaro, mi davano un passaggio. Quando proprio non riuscivo a camminare, prendevo una di queste jeep». Osas prova un po? di vergogna nel raccontare che i proprietari delle jeep chiedono molti soldi, anche per piccole tratte. Forse perché ripensa alle condizioni estreme che ha dovuto affrontare, ma anche perché si vergogna: gente del suo Paese, infatti, si macchia di sfruttamenti di questo genere. «La parte più difficile è stata quella del deserto dove non c?erano piante da raccogliere e da mangiare. Camminavo tutto il giorno e per darmi forza pensavo a quando sarei arrivato in Italia. Lì un amico mi aspettava e mi avrebbe dato accoglienza». Prosegue il suo racconto, un viaggio assurdo. Un solo pensiero lo trascinava avanti: fuggire dalla miseria del suo Paese e raggiungere la ricca Italia. «Arrivato in Marocco il peggio era passato, ho attraversato lo stretto di Gibilterra con un?imbarcazione clandestina e ho raggiunto la Spagna». Una volta in Europa un lungo viaggio in pullman lo ha portato clandestinamente fino in Italia. Il vecchio amico si è dileguato e anche il benessere della vecchia Europa non è poi così reale. Inizia un lungo peregrinare di città in città e di lavoro in lavoro. Napoli: agricoltore; Firenze: muratore; Brescia: operaio; Milano: volantinista. Infine, Novara. Un posto letto a 250 euro, nessun documento e una vita da clandestino. Dopo due anni non si è ancora integrato. Parla inglese Osas e ancora non conosce l?italiano. Vive con altri nigeriani e indossa gli abiti tradizionali del suo Paese. Marco Ferri Un mese fa avevamo chiesto ai nostri lettori di raccontarci esperienze di immigrazione raccolte da loro sui territori. Continuano ad arrivarci storie ben scritte, come quella di Ferri che qui pubblichiamo.


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