Cultura

Che nostalgia riascoltare la Nigeria di Fela Kuti!

Recensione del cd "Nigeria 70" di Fela Kuti.

di Enrico Barbieri

Sembra un millennio fa: la Nigeria era la patria africana d?un funky battagliero, impegnato politicamente, irresistibile nel ritmo. Non era il paradiso, anzi. Ma i trent?anni di regime e violenza che sono venuti dopo hanno fatto tabula rasa. Silenzio. «La morte di un uomo è la nascita di un antenato», amano dire i saggi del popolo Yoruba. Da cinque anni Fela Anikulapo-Kuti, ispiratore e profeta dell?afrobeat nigeriano, non c?è più. Rimane però il volume di musica che ha lasciato, la sua passione per la libertà, le sue lotte per l?indipendenza: Fela Kuti è un antenato di cui andare orgogliosi. Ed è lui, naturalmente, il nume evocato più spesso nello splendido cofanetto Nigeria 70 – The Definitive Story of 1970?s Funky Lagos: una raccolta uscita già qualche tempo fa, ma che chiunque abbia a cuore l?Africa, chi ama le contaminazioni e chi, infine, va matto per James Brown dovrebbe assolutamente avere. Nigeria 70 è prima di tutto un mastodontico lavoro di recupero musicale: una polveriera di ritmi diversi, di funky e musiche tradizionali, di freejazz e ska. Ma a due anni dal faticoso ritorno alla democrazia della Nigeria e a cinque dalla morte di Fela Kuti, questo doppio cd (triplo, se aggiungiamo l?interessante supporto d?interventi critici) è ancora di più: è quello stesso grido d?aiuto che qualcuno, come Fela Kuti, ha pagato caro e che riecheggia ancora dall?Africa, povera e sola come trent?anni fa.


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